Difficili realtà delle quali giustamente si parla, come la crisi economica, la disoccupazione, il terrorismo, la situazione in nord Africa, ma anche il superficiale quanto ingiustificato sbigottimento e la diffusa condanna su un fenomeno virale, che meriterebbe invece un’analisi più approfondita e ragionata, come l’adesione di massa nei confronti della nuova App, Pokémon GO, hanno oscurato realtà dolorose e altrettanto importanti da analizzare come la delicatissima situazione in Ucraina.
Tutti questi argomenti possiedono pari dignità, è però un dato di fatto che la guerra in Ucraina sia passata in secondo piano.
Tutto ebbe origine nel dicembre del 2013, quando l’allora presidente dell’Ucraina, il filorusso Viktor Yanukovich, non accettò l’accordo di associazione con l’Europa, che sarebbe stato un segnale importante circa la volontà ucraina di entrare nell’Unione. Tuttavia la componente europeista era molto forte a Kiev, così incominciarono le proteste, dapprima pacifiche e poi violente, soprattutto dopo la decisione del presidente ucraino di reprimerle.
Il 22 febbraio 2013 i rivoltosi ebbero la meglio e Yanukovich, sentendosi in pericolo, decise di scappare in Russia. Quando sembrava che l’Ucraina fosse destinata a rimanere sotto l’influsso europeo, intervenne Putin, che voleva già da tempo estendere l’influenza russa sul paese. Il presidente russo inviò soldati privi di mostrine in Crimea, una regione autonoma che storicamente aveva sempre fatto parte della Russia e nella quale gli abitanti si erano ribellati alle correnti filo-europeiste.
Il 16 marzo venne indetto un referendum che divenne un plebiscito e sancì il passaggio della Crimea alla Russia. Altre rivolte ci furono a Donetsk, a Krasnodon e Lugansk, con la speranza di un’annessione alla Russia.
Dall’inizio del conflitto sono passati ormai quasi tre anni, ma l’instabilità e le violenze continuano a rappresentare una realtà quotidiana. Infatti, più di 3 milioni di persone vivono nelle zone direttamente colpite dal conflitto e non si è ancora sicuri del numero esatto delle persone che hanno abbandonato il territorio ucraino per andare in Russia. Fonti ucraine parlano di 1 milione di persone, fonti russe di 4 milioni.
In un rapporto dell’ONU si evince che nel mese di giugno si è registrato il numero maggiore di vittime negli ultimi 10 mesi nel Dobnass, una delle regioni maggiormente colpite dal conflitto. Infatti la zona è stata teatro di bombardamenti da parte delle forze ucraine che hanno portato alla morte di 12 persone e altre 57 hanno riportato ferite più o meno gravi. Nel rapporto si evince anche che sono stati utilizzati «diversi tipi di artiglieria, compresi quelli vietati dagli accordi di Minsk». Inoltre altre 14 persone sono state uccise da mine e da proiettili inesplosi e, sempre secondo le Nazioni Unite, il numero totale dei defunti dall’inizio del conflitto corrisponde alla spaventosa cifra di 9470.
Nel periodo oggetto della relazione, le forze armate ucraine sono avanzate addirittura in zone residenziali come a Gorlovka, a Shakhtarsk e a Debaltsevo. Dagli accordi di cessate il fuoco di Minsk (dal 15 febbraio 2015) vi sono state 843 vittime ed è stato accertato che negli obitori delle zone controllate dal governo circa mille corpi non sono stati ancora identificati.
Come se non bastasse, il rapporto contempla la possibilità concreta che alcuni tra i dispersi siano vivi, ma detenuti in centri di detenzione segreti nelle repubbliche o nel territorio ucraino.
Ancora una volta ci si trova a dover apprendere informazioni desolanti, che potrebbero essere etichettate come sconvolgenti o anacronistiche. Tuttavia, se si pensa al Medio Oriente, alla Turchia, al nord Africa, ci si rende conto che sono vicende fin troppo comuni e contemporanee. Questo non vuol dire che si debbano mettere da parte lo sdegno e la condanna nei confronti di tali ingiustizie e oppressioni, al contrario queste diffuse situazioni di disperazione dovrebbero motivare a far qualcosa di concreto per la loro risoluzione.
Alessandro Fragola