Prevenire è meglio che curare, un motto che riecheggia continuamente tra le strade reali e digitali della nostra società – la prevenzione, dopotutto, figura tra i trend più incalzanti. Ciò nonostante, gli strumenti utili a prevenire non sono sempre alla portata di tutti né sufficientemente sponsorizzati.
A tale riguardo, una delle malattie che affligge la nostra epoca e su cui è necessario fare informazione e sfatare tabù, anche in nome della prevenzione, è l’AIDS, i cui tassi di mortalità e diffusione risultano ancora troppo elevati.
In un contesto sano, il primo approccio con questa realtà dovrebbe avvenire nelle scuole. Laddove ciò accade, è in genere l’insegnante di Biologia ad accennare all’esistenza della malattia; a lui tocca spiegare che l’AIDS è incurabile, potenzialmente mortale e sessualmente trasmissibile – sangue e secrezioni genitali sono i soli a poterla veicolare. Subentra allora il “discorso prevenzione”, che abbraccia necessariamente i rapporti sessuali, i quali devono essere protetti tramite l’utilizzo dei preservativi, unica barriera tra il soggetto sano e qualsivoglia malattia sessualmente trasmissibile.
Tuttavia, in Italia l’IVA applicata sui preservativi è del 22%, ciò significa che lo Stato in questione tassa al 22% il diritto di tutelare la propria salute, limitatamente a quei danni trasmissibili attraverso un rapporto sessuale non protetto.
Similmente a beni di consumo di minore importanza, il costo dei preservativi non è dunque contenuto, fattore che si rivela problematico quando a essere coinvolta è la fascia dei più giovani, spesso studenti, disoccupati o lavoratori sottopagati – soggetti potenzialmente incapaci di fronteggiare le spese richieste, in questo specifico caso, dalla prevenzione.
Il problema dell’elevata tassazione è stato discusso anche in sede istituzionale, difatti il 19 aprile 2017, come risulta da un documento della Camera, era stato preannunciato, tra gli altri, il proposito di impegnare il Governo «ad assumere iniziative per ridurre l’Iva sui profilattici» in riferimento alle “mozioni concernenti iniziative volte alla prevenzione dell’HIV/AIDS e delle malattie sessualmente trasmissibili”.
Tra le premesse che giustificano il proposito si legge:
«[…] il preservativo maschile e femminile, unico metodo per prevenire tutte le malattie a trasmissione sessuale ed insieme le gravidanze non desiderate, è un presidio sanitario; per tale ragione deve esserne garantita l’accessibilità a tutti; elencare i preservativi tra i farmaci prescrivibili, effettuare campagne nelle scuole e per il pubblico generalista, inserire l’educazione alla sessualità (utile anche contro la discriminazione di genere e per l’orientamento sessuale), sono la base minima per una politica seria per la salute della popolazione relativa alle malattie sessualmente trasmissibili; […]»
Il documento cita come premessa anche i dati sconcertanti – se rapportati a una nazione come l’Italia che si autodefinisce civile e sviluppata – sulla diffusione dell’AIDS:
«[…] con una incidenza pari a 5,7 nuovi casi per 100.000 residenti (nel 1987 si registrò il picco massimo di 26,8 nuovi casi per 100.000 residenti) l’Italia si colloca al 13° posto tra le nazioni dell’Unione europea in termini di incidenza delle nuove diagnosi di infezione da HIV; […]»
Assieme ai dati quantitativi è possibile ravvisare anche i dati qualitativi, volti a sottolineare quanto incida sulla diffusione delle malattie sessualmente trasmissibili l’inesistenza e/o l’inadeguatezza dell’educazione sessuale nelle scuole e in generale tra i giovani. All’elevato, e ingiustificato, costo del preservativo – definito a ragione “presidio sanitario” – va allora aggiunta l’ignoranza dei cittadini intesa nella doppia accezione di ignorare la diffusione e la pericolosità delle malattie e di stigmatizzare i rapporti sessuali tra giovanissimi – come se il pudore e la morale (religiosa e non) fossero sufficienti ad azzerare qualsiasi rischio.
Proprio in riferimento all’educazione sessuale, il 5 aprile 2017 in Senato è stato presentato il disegno di legge “Disposizioni in materia di educazione all’uso della contraccezione e alla sessualità consapevole per la prevenzione delle malattie sessualmente trasmissibili”, la cui duplice finalità è quella di rendere economicamente accessibile a tutti l’utilizzo del preservativo e di divulgarne l’importanza soprattutto tra le generazioni più giovani attraverso l’attuazione di campagne ad hoc.
In questo caso la premessa agli articoli che compongono il DDL prende in esame le esperienze parallele di altri Stati europei che hanno abbassato l’IVA sui preservativi: si passa dal 5% del Regno Unito al 13,5% dell’Irlanda.
«Nonostante i profilattici siano considerati dispositivi medici, e strumenti principali per il contrasto alla diffusione delle malattie sessualmente trasmissibili, il loro prezzo in Italia continua ad essere molto elevato a causa, anche, dell’aliquota IVA applicata che si attesta al 22 per cento a differenza di quanto avviene per tutti gli atri dispositivi medici, tassati al 4 o al 10 per cento e contrariamente a quanto accade nel resto d’Europa.»
Come accade spesso in questi casi, il dibattito si sposta anche al di fuori delle aule parlamentari e rende attiva la cittadinanza: su change.org è stata infatti lanciata la petizione “Abbassiamo l’IVA sui preservativi: il sesso sicuro, in Italia, costa troppo”, le cui adesioni hanno quasi raggiunto le 10.000 firme richieste.
Il preservativo, analizzato in quest’ottica, depone l’etichetta di semplice contraccettivo in favore del ruolo che gli spetta: contraccettivo sì, ma anche e soprattutto strumento di difesa da malattie come l’AIDS. Tuttavia, il fatto che l’esame del DDL non sia ancora iniziato continua e gettare ombre sul reale interesse della classe politica nei riguardi di quella che è una problematica pressante: tra costi troppo elevati e scarsa informazione sui rischi del contagio, il diritto alla salute virtualmente garantito brancola, incespica e crolla.
Rosa Ciglio