Il 44% dei pensionati italiani è costretto a vivere in condizioni che rasentano la povertà. È il resoconto, in buona sostanza, che emerge da un dossier intitolato “Politiche fiscali, indicizzazione e progressivo impoverimento delle pensioni” presentato questa mattina presso il Teatro Quirino di Roma. Il rapporto è stato realizzato dal CUPLA (Coordinamento Unitario dei Pensionati del Lavoro Autonomo) in collaborazione con il CER (Centro Europa Ricerche), ed è basato sull’analisi statistica degli effetti delle varie riforme del sistema pensionistico italiano che si sono succedute dal 1995 ad oggi, a partire dalla riforma Dini.
La situazione dipinta nelle pagine del dossier è quantomai fosca e preoccupante, se è vero che vi si indica una percentuale altissima (il 44%) di pensionati che, colpiti dal blocco delle indicizzazioni e dal prelievo fiscale delle addizionali crescente, con una somma percepita mensile inferiore ai 1.000 euro non possono fronteggiare la perdita del potere d’acquisto e si collocano, di fatto, nella fascia della semi-povertà e anche oltre. La perdita del potere d’acquisto che deriva dall’effetto combinato di mancato recupero dell’inflazione e di prelievo fiscale oscilla tra il 2 e il 7%, con picchi assoluti nel periodo compreso tra il 2010 e il 2013, forse gli anni di maggior impatto della crisi globale.
I numeri sono impressionanti, e i provvedimenti allo studio del Governo che potrebbero influire ulteriormente sulle condizioni dei pensionati non lasciano certo ben sperare. Per tale motivo, il CUPLA si spinge oltre, fino a fornire alcune indicazioni nette e chiare, in coerenza con la carta dei diritti sociali europea, per contrastare il fenomeno di disagio sociale crescente. Adeguare i trattamenti minimi al 40% del reddito medio nazionale, ovvero da 500 a 650 euro; rivedere i meccanismi di blocco dell’indicizzazione, soprattutto alla luce del continuo aumento dei costi sanitari, cui i pensionati sono maggiormente sensibili; estendere la no-tax area fino al doppio del trattamento minimo delle pensioni INPS, ovvero 13.000 euro, oltreché i benefici derivanti dal cosiddetto “decreto degli 80 euro”, fino ad ora previsto per i soli lavoratori dipendenti; prevedere detrazioni ed esenzioni dalla TASI per pensionati al di sotto della soglia del doppio del trattamento minimo, oppure invalidi o non autosufficienti.
Provvedimenti senza dubbio necessari, per ristabilire quell’equità sociale andata ormai perduta nei meandri del rigorismo cinico e spietato, ma che appaiono quantomeno utopistici da concretizzare, in una contingenza di conti pubblici asfittici e di restrizioni alla spesa.
Emanuele Tanzilli