情報デスクVIRTUAL. Macintosh Plus. Saint Pepsi. Se queste parole non vi dicono niente e vi fanno un po’ strano, allora siete ancora recuperabili.
Se apprezzate la musica soft-jazz anni ’80 rallentata con audacity e l’utopia virtuale di metà anni ’90, forse vi potrà interessare di sapere che anche l’internet adesso ha un proprio genere musicale.
Il vaporwave nasce in un momento imprecisato fra il 2011 e il 2012 in quel pazzo pazzo mondo che è internet, un luogo dove l’espressione artistica deve convivere a forza con la pedopornografia, gli zii della polizia postale e Salvatore Aranzulla. Qui avviene la definitiva consacrazione dell’umorismo “autistico” e nonsense che è un po’ la moda del momento negli ambienti “sotterrani” del web.
Il profondo significato del vaporwave come movimento e come “genere musicale” non sta nella qualità artistica in sé, ma una cosa del genere si può dire di qualunque altra cosa. Il vaporwave è essenzialmente un mischiare a caso icone e simulacri del passato più vicino che hanno dimostrato la loro temporaneità. E’ una profonda critica, rivolta non tanto alle icone, ma al sistema stesso, che offre simboli preconfezionati al pubblico, che poi se ne stanca e li butta via senza starci troppo a riflettere.
Il carattere nostalgico di molti brani vaporwave non va inteso come un omaggio al passato, ma come una critica al presente.
L’album di James Ferraro, “Far Side Virtual”, è stato dichiaratamente composto per assomigliare ad un insieme di suonerie polifoniche, e lo scopo finale dell’album stesso è proprio di essere utilizzato come tale. Ogni singola traccia riporta la memoria agli anni ’90 e all’ottimismo di quel periodo nei confronti del primo internet, di windows e della tecnologia in generale. Allo stesso modo, molte tracce di Vektroid, aka 情報デスクVIRTUAL, aka Macintosh Plus, ecc. hanno titoli in giapponese, e l’autrice stessa ha definito uno dei suoi album “a parody of American hypercontextualization of e-Asia circa 1995.”
Tutto il vaporwave, o quasi, andrebbe dunque letto in un contesto di satira estremizzata, e in questo contesto vanno inserite certe definizioni del genere come una nuova chiave di lettura dell’estetica o qualcosa di ancora più profondo. Non è niente di tutto ciò, e forse anzi ad ogni recensione dei loro lavori questi oscuri produttori ridono di noi altri. Anche per questo, oltre che per le istanze rivoluzionarie e l’imitazione di stilemi caratteristici del mondo della musica pop occidentale in chiave satirica, si possono definire gli artisti vaporwave i punk del nostro secolo. Oppure sono solo dei cazzoni.
In ogni caso, si deve pensare al vaporwave come un fenomeno di costume straordinario, con una sua iconografia e una sua mitologia, per così dire. E di questo consta la vera conquista di questo “movimento”, che forse risulterà essere il primo reale risultato artistico della storia dell’internet.
Michele Cera