Nella vita si nasce e poi si cresce, è un qualcosa di irrimediabile e spesso neanche ce ne accorgiamo.
Da un giorno all’altro non abbiamo più il nostro bacio della buonanotte, abbandoniamo su uno scaffale quegli occhiali magici che ci mostravano mondi surreali, i fortini fatti di cuscini, i fiumi di lava che circondavano il nostro divano, gli animali di peluche non ci parlano più e dimentichiamo, inesorabilmente, il nostro amico immaginario.
Una forza esterna senza volto ci strappa via l’innocenza e quella fantasia che colorava il nostro mondo, un salto improvviso verso l’età adulta e un nuovo paio di occhiali da indossare.
Lo scrittore londinese Matthew Dicks sembra non aver accettato questo compromesso della vita e nel suo romanzo “L’amico immaginario“ tenta di descriverci proprio quell’attimo, così confuso, in cui i nostri sogni cambiano e i bambini si sentono forti anche senza quei colori che li hanno accompagnati per il primo step della loro vita.
“Max è l’unico essere umano che riesce a vedermi.
I genitori di Max mi chiamano l’amico immaginario.
Non sono immaginario.”
È l’incipit del romanzo che ci è narrato in prima persona da Budo, l’amico immaginario di Max, un bambino speciale che ha solo bisogno di essere ascoltato e di trovare un’ancora a cui affidarsi nei momenti in cui ne ha più bisogno.
Max non sa scegliere tra due colori, non gli piace parlare in pubblico né aprirsi con chi non conosce o con chi non si è guadagnato la sua fiducia. Ha 5 anni ed è autistico e a differenza degli altri bambini ha ancora bisogno del suo invisibile compagno di giochi. Gli è così legato da avergli assegnato ogni minimo particolare, dettaglio rilevante per un essere come lui! Esistono infatti amici immaginari senza gambe, senza braccia, minuscoli o giganti, con l’aspetto di animali, alieni, fate.. perché si sa, l’immaginazione dei bambini va oltre ciò che ci è permesso conoscere.
Il problema come sempre sta nel crescere.
Col passar del tempo l’attenzione si sposta ad altro: ad un gioco nuovo, un nuovo sport, altri problemi, un’altra vita.. le ali dell’infanzia si fanno a brandelli e i bambini non hanno più bisogno di esser seguiti da quelle balie invisibili che si sono creati, riescono a cavarsela da soli e le abbandonano lasciando che si affievoliscano piano, fino a scomparire.
Gli amici immaginari questo lo sanno e vivono con terrore l’idea che dalla sera alla mattina potrebbero non esserci più.
Ma Budo è fortunato, è sopravvissuto a tutti i suoi compagni che sono spariti dopo qualche mese, o al massimo un anno, questo perché Max è diverso dagli altri e ha bisogno di qualcuno con cui possa parlare e che lo capisca sul serio.
Ma un giorno succede qualcosa di terribile.
Budo vede Max uscire nel cortile della scuola ed entrare nell’auto della signora Patterson, la sua maestra di sostegno. Da allora non ci sono più tracce del bambino e la voce narrante cerca in ogni modo di rassicurare e far aprire gli occhi a quei genitori che non possono vederlo né sentirlo, che si struggono per la perdita di un figlio e che si fidano delle persone sbagliate.
Pagina dopo pagina cresce un climax di frustrazione: Budo ci appare come imprigionato nel suo piccolo mondo, circondato da spesse mura vitree che gli permettono di assistere alla disfatta di una famiglia senza che lui possa muovere un dito per impedirlo.
Ma forse Budo non è altro che un espediente.
Forse Max deve solo iniziare a credere in sé stesso per dar una svolta alla sua vita.
Quindi no, Budo non è solo un amico immaginario.
Budo è quell’infanzia, quella spensieratezza, quel meravigliarsi davanti alle piccole cose, quel fanciullino Pascoliano a cui abbiamo rinunciato troppo presto.
Alessia Sicuro