Ogni parola, ogni suono dettato dall’armonia disegnata dalle lettere incise su carta, non riusciranno a rendere giustizia all’operato di uomini, prima ancora che Magistrati, come Falcone e Borsellino.

Torno indietro al quel giorno di maggio del 1992 – sempre maggio: mi domando quali siano le regole non scritte che vogliono al sorgere della vita, la sconfitta della potenza umana che vuole giustizia e legalità: fuori piove, il clima ricorda più una giornata di novembre per la carica esplosiva che il cielo plumbeo mostra, piuttosto che la vita che zampilla. Si odono il canto degli uccelli e i rumori indefiniti di territori ancestrali. Sono un eterno bambino posto al centro di una quotidianità dove è semplice, addirittura scontato leggere giornali e vedere Tg o documentari; solitamente i bambini giocano: Alfredo trascorre le giornate tra il Subbuteo e/o le scorribande con la carrozzina. Nel primo pomeriggio il Tg? Edizione Straordinaria… Ecco: cosa mai sarà accaduto? Giovanni Falcone ammazzato in un attentato dinamitardo all’altezza di Capaci, sull’autostrada.

Quel momento rimane impresso nella mia psiche come le immagini si ripetessero istante per istante: uomini al servizio dello Stato, incapace di proteggere chi eleva il senso della Cosa Pubblica, e non il crogiolo del malaffare. Il malaffare ti ha abbandonato, Giovanni: ha deciso di scaricare il vero motore trasformativo di una Nazione: giustizia, legalità, attaccamento alla patria. Sono valori che oggi non vengono presi in considerazione perché anacronistici. Beh, l’anacronismo lo rappresentano i politici ogni giorno: ascoltando le varie interviste mandate nei Tg, come se fosse lecita la passerella per legittimare la propria appartenenza al dolore di un intero popolo alla mercé della Mafia, ho ritenuto di doverti scrivere, Grande Uomo. Tu sei nato, cresciuto nella vera Palermo, la città vissuta nei suoi riti, nel linguaggio dettato dal codice, non scritto, del rispetto tra uomini al servizio di una collettività disomogenea, ove il più debole si lascia trasportare verso il malaffare per vivere. Ciò che tu hai combattuto è quanto è risaltato oggi nelle cronache: il connubio tra Stato e Mafia è il modus operandi attraverso cui un cancro come la mafia ha deciso – e decide – di impossessarsi dell’intera nazione, ponendo in scacco un popolo incredulo dinanzi al non senso di alcuni personaggi.

Non puoi essere stato fatto saltare in aria perché Totò Riina ha baciato Andreotti: non posso credere che tu abbia rischiato la vita dei tuoi uomini per ciò che anche un bambino non ritiene possibile. Hai sacrificato la tua vita per valori racchiusi in un sorriso dinanzi al vuoto rappresentato dall’incapacità dello staterello Italia di proteggere chi ha posto le basi per invertire la marcia non appena si è accorto della discesa che iniziava. Tu, Giovanni, sei l’Eroe di tutti i giorni. Volendo approdare al linguaggio simbolico, tanto caro a chi scrive, l’Eroe deve immolarsi per essere tale. Bene, Falcone Giovanni, sei riuscito a divenire il palesamento della Forza. In Alfredo bambino le immagini di un’autostrada sconquassata sono apparse prive di senso perché somiglianti alla scena d’un film, quei serial televisivi che a cavallo tra gli anni ’80 e ’90 hanno lasciato intendere che il potere finanziario era divenuto il potenziale destrutturante l’intero assetto democratico su cui poggia la società. Tu non hai combattuto contro la Natura avversa, bensì contro quei costumi che hanno imposto il pagamento di un dazio che ha sortito la rivalsa di un intero popolo innanzi all’omertà di chi, detenendo il potere, ha deciso che tu, Giovanni Falcone da Palermo, saresti dovuto morire.

Ascoltando le tue interviste, Signor Giudice, mi sovviene un quesito: quanto lo Stato deve ad uomini come te? Mi permetto di darti del tu poiché ritengo che tu possa essere il padre di tutti noi. Oggi si assiste allo sfaldamento di quei valori per cui si è combattuto e si è riusciti a formare la prima repubblica. Sì, probabilmente sei stato tu a porre le basi perché vi fosse la percezione del degrado morale che si materializzava. D’altronde in questo paesuccio non si è capaci di difendere gli uomini che combattono per il popolo: penso ad Aldo Moro. Si, lo confesso: sono un nostalgico; di chi? Di Craxi, Andreotti, Moro, Berlinguer. Non sono colui che vuole riscrivere la Storia: la Storia stessa rettifica l’operato di queste individualità. Oggi, avendo 37 anni, rifletto e osservando la Storia mi pongo tante domande: la prima – e forse la più importante – perché si deve trasformare la storia e vivere di segreti? Tanto gli interpreti prima o poi riusciranno a riscattarsi. Lo scrivo da convinto Uomo, prima ancora che convinto socialista. Hanno ammazzato te come hanno ammazzato Dalla Chiesa, Chinnici

Chi sono questi uomini che hanno decretato che venisse premuto il telecomando da Giovanni Brusca? Non certamente chi oggi è libero di parlare e dire la sua. Nel frattempo hanno decretato i processi più assurdi in tuo nome. Ribadisco: si può mai ammazzare un Uomo Vero perché dice che Andreotti ha baciato Riina? È come dire che Arlecchino ha deciso di vestirsi di nero perché ha l’umore depresso …
Non so perché vi hanno ucciso: mi astengo dal giudizio in quanto, se può esprimere giudizi chi è in Parlamento, è meglio tacere per non cadere nel grottesco, perché il grottesco è nei politici da strapazzo, figli di un ventennio prestato al qualunquismo del ‘ci si vende al miglior offerente’.

E pensare che tu, Paolo, hai cercato di continuare quel che Giovanni ha fatto con forza: ti hanno tradito e lo hanno fatto sapendo che tu sapevi.
Il tuo ricordo è in noi, Paolo.
Meglio essere un Death Man Walking che un uomo prestato al potere di menti deviate perché assetate di sesso e impunità.
Porto nel mio cuore quel che ho vissuto da bambino che sognava: un mondo migliore in cui non vi fossero differenze.
Dibattendo con voi, immaginando una tavola rotonda con i Grandi della Storia, penso a quanto hanno lasciato uomini come Nikita Kruscev o Winston Churchill: dinanzi alla loro disfatta, con grande ironia affermavano, ognuno a suo modo, quanto segue: “Evidentemente è ciò che merito”, ovvero “Vuol dire che ho lavorato bene”.
Lavorare per il bene, elicita il male che distrugge i principi fondanti la vita, ovvero la convivenza civile.
Da un Libero Pensatore, nostalgico del Passato, di una Repubblica, non delle banane.

Alfredo Vernacotola

Quotidiano indipendente online di ispirazione ambientalista, femminista, non-violenta, antirazzista e antifascista.

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