Tra le pagine più tragiche e buie della nostra storia spiccano quelle che raccontano del periodo fascista: pagine dolorose, di colpe personali e deresponsabilizzazioni collettive, pagine con cui è difficile fare i conti. Allora vi è quella tendenza, in verità parecchio diffusa, di voler “strappare” quelle pagine, di cancellarne qualsiasi traccia e di alleggerire di ogni peso le nostre coscienze. Eliminare gli ultimi strascichi di quel passato, neanche troppo lontano, rifuggendo qualsiasi accettazione.
Napoli fu una capitale centralissima e cruciale fu il suo ruolo: la città durante il Ventennio fascista fu sottoposta ad importanti lavori di sistemazione ed il suo aspetto subì un decisivo cambiamento.
Il progetto di bonifica e di risanamento della zona era in programma già dalla fine dell’Ottocento, ma solo negli anni trenta del Novecento prese avvio secondo un modello urbanistico voluto dal regime fascista. Fu costruito il Rione Carità, dove furono ubicati alcuni importanti uffici che spiccavano per la loro imponenza, tra questi il “Palazzo delle Poste” (opera di Giuseppe Vaccaro), il “Palazzo della Provincia” (di Marcello Canino e Ferdinando Chiaromonte) e la “Casa Del Mutilato” (di Camillo Guerra). Il Rione appare in qualche modo in contrasto rispetto al vicino centro storico, decontestualizzato, e questo non soltanto per l’aspetto conflittuale, ma anche per le “funzioni” che svolgeva: andava ad assumere la nuova identità di centro degli affari e direzionali.
Localizzata tra piazza Matteotti, Via Guantai Nuovi e Via Diaz (dove è presente l’ingresso) la “Casa Del Mutilato” è uno di quegli edifici che spiccano per la loro imponenza e che nascono durante il ventennio. Fu fortemente voluta dall’ “Associazione Nazionale fra Mutilati ed Invalidi di Guerra”.
Eretto tra il 1938 e il 1940 ed inaugurato poco dopo lo scoppio della Seconda guerra mondiale, il progetto fu affidato a Camillo Guerra. Ingegnere e docente presso la Scuola di Ingegneria di Napoli, Guerra ha contribuito al rinnovamento dell’architettura e della città, in un periodo di grandi cambiamenti urbanistici. Il fascismo radunò giovani architetti per la costruzione di quella che può essere definita come l’architettura di stato. Moderna e allo stesso tempo originale, perché non è un’architettura imposta “dall’alto”: agli architetti, infatti, si lascia comunque un margine abbastanza ampio di azione.
Nel dopoguerra, l’ingegner Guerra ricostruisce anche il suo Palazzo dei Telefoni, in via Depretis, crollato sotto le bombe del 4 agosto 1943: lo avvicina per stile e aspetto, molto “funzionalista”, alla Casa del Mutilato.
Nel suo disegno iniziale “La Casa del Mutilato” prevedeva un andamento diagonale, con ingresso angolare (nel punto di confluenza tra via Armando Diaz e via Guantai Nuovi). Guerra, tuttavia, decise di scartare questa soluzione: l’atrio d’accesso è caratterizzato dallo scalone monumentale sormontato dalla statua della Vittoria, simbolo tanto caro al regime. Nella mitologia romana Vittoria, o in greco Nike, è la dea personificante della vittoria in battaglia ed è raffigurata come una giovane donna alata.
L’interno presenta un apparato decorativo che celebra il partito fascista: ricorrenti i temi del lavoro, della vittoria, la marcia su Roma, la conquista della Libia e le aquile Romane (simbolo dell’impero).
Nell’agosto del 2016 si staccava e crollava, da un’altezza di circa venti metri, la lettera “T” della parola “Mutilati”. Pochi giorni dopo si decise di rimuovere le lettere “pericolanti” e, dunque, parte dell’iscrizione d’epoca fascista; E così si lamentava qualcuno:
«In seguito alla caduta accidentale, qualche giorno fa, di una lettera dalla scritta della facciata della Casa del Mutilato (uno degli edifici più belli del rione Carità, progettato da Camillo Guerra e realizzato tra il 1930 e il 1940) si sta rimuovendo tutta la scritta, portando a discarica, tra i detriti, le lettere. Ignorano che quella scritta non è come un’insegna Conad, ma parte integrante del progetto e elemento fondamentale di quel linguaggio architettonico.»
Si lamentava l’indolenza con cui veniva trattato un edificio di importante valore storico alla stregua di qualsiasi altra struttura anonima. “La Casa Del Mutilato” è figlia di un regime fondato sul mito della guerra: si tratta dunque di un edificio, come molti altri, destinato a ricordare e a mantenere vivo il ricordo di chi la guerra l’aveva fatta e di chi per la patria si era immolato.
L’architettura del ventennio è basata su una “reinterpretazione” della tradizione; l’ideologia razionalista, caratterizzata dalla ricerca dell’ordine, i criteri di funzionalità e l’essenzialità delle forme è perfettamente in linea con lo stile di questa struttura.
Che soprattutto, come altre nel napoletano (tra le quali la stessa suggestiva Mostra D’Oltremare) è la testimonianza tangibile che ci ha lasciato in eredità un periodo storico. Un periodo storico con cui noi italiani troviamo difficile rapportarci e ancor più mantenerne vivo il ricordo anche in qualcosa, come l’architettura, che dovrebbe essere atemporale e non dovrebbe recare in sé alcun giudizio morale (alcuni si chiedono addirittura come mai l’Italia non si sia mai liberata di tutti questi monumenti e simboli fascisti).
Ma è forse giusto demolire questi edifici come se niente fosse stato, eliminare le tracce di opere anche notevoli e tutto in virtù della simbologia sotto cui sono nate? Considerarle solo dal punto di vista politico e far valer come nullo quello artistico? Non è forse il riconoscimento vero e non presunto di ogni tappa che ci ha segnati e ci ha resi ciò che siamo a garantirci un futuro migliore, senza ricadere nella trappola di assurde e utopiche politiche nelle quali già siamo stati ingabbiati?
Ai posteri l’ardua sentenza.
Vanessa Vaia
La politica e il fanatismo religioso non devono interferire sull’arte. Ogni manufatto artistico è espressione di un epoca e del relativo gusto estetico. I monumenti tesimoniano la nostra civiltà nel bene e nel male. Il distruggerli è un crimine così come è stato per tanti monumenti distrutti dall’ ISIS. Al riguardo consultare il seguente link:
http://www.repubblica.it/esteri/2016/09/27/news/la_guerra_dell_isis_al_patrimonio_archeologico-148613528/