Il 24 settembre il Tribunale di Roma ha condannato il sindaco di Napoli Luigi de Magistris alla pena di un anno e 3 mesi di reclusione, per il reato di abuso d’ufficio, consistente nell’illegittima acquisizione di tabulati telefonici di utenze intestate a Parlamentari, senza la previa autorizzazione delle Camere; lasciamo da parte il merito del procedimento penale, e soffermiamoci sulle conseguenze (giuridiche oltre che politiche) di tale sentenza.
In particolare, si pone l’annosa questione della sospensione dall’ufficio di Sindaco, come previsto dall’articolo 11 c. 1 del D.Lgs. 235/2012 (cosiddetta “legge Severino”); tale articolo infatti prevede che la condanna per il delitto ex art. 323 c.p. (l’abuso d’ufficio appunto), anche se non definitiva, comporta la sospensione de iure dalla carica di Sindaco per 18 mesi. Che destino avrà dunque de Magistris? La sospensione è ineluttabile o esistono “vie di fuga”?
Si pongono allora due di questioni giuridiche piuttosto complesse, che cercheremo qui di riassumere.
Innanzitutto, il problema della retroattività della legge Severino: si è fatto notare che la sanzione della sospensione, se fosse una sanzione penale, sarebbe sottoposta al regime del divieto di retroattività, che impedirebbe di applicare la sanzione della sospensione ai processi per fatti antecedenti l’entrata in vigore della legge (i fatti contestati a de Magistris risalgono al 2006); tuttavia la giurisprudenza amministrativa è concorde nel ritenere che la sospensione non sia una sanzione penale, ma bensì una sanzione amministrativa, il che rende insussistente il problema della retroattività; segnaliamo in particolare la sentenza 695/2013 del Consiglio di Stato, secondo cui “il fine primario perseguito è quello di allontanare dallo svolgimento del rilevante munus pubblico i soggetti la cui radicale inidoneità sia conclamata da irrevocabili pronunzie di giustizia. In questo quadro la condanna penale irrevocabile è presa in considerazione come mero presupposto oggettivo cui è ricollegato un giudizio di ‘indegnità morale’ a ricoprire determinate cariche elettive”; dunque la sentenza di condanna è un semplice presupposto di fatto della sospensione, che si configura come una sanzione amministrativa; ricordiamo peraltro che nei dispositivi di condanna non vi è mai alcuna menzione della sanzione della sospensione, sanzione irrogata con decreto prefettizio e non dall’autorità giudiziaria, a conferma della sua natura amministrativa.
A complicare (apparentemente) il quadro, vi è il fatto che al Sindaco è stato concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena inflittagli (art. 163 c.p.); si è dunque detto che, essendo stata sospesagli la pena, la legge Severino sarebbe insuscettibile di applicazione; tuttavia tale tesi è errata, dal momento che la sospensione dall’ufficio di Sindaco si applica “a coloro che hanno riportato una condanna non definitiva” (art. 11 c. 1 della suddetta legge); il presupposto è dunque la semplice condanna, essendo dunque irrilevante che la pena inflitta sia sospesa condizionalmente.
Si potrebbe allora obiettare (ma si tratta di una argomentazione dalla discutibile pregnanza giuridica) che il reato contestato al Sindaco riguarda fatti commessi quando il medesimo svolgeva il ruolo di magistrato; dal momento che la legge Severino avrebbe la finalità di sanzionare le condotte dei politici che arrecano un danno alla pubblica amministrazione, la condanna riportata da de Magistris sarebbe, sotto questo profilo, irrilevante, essendo stato arrecato un danno di immagine non all’ente- Comune di Napoli, bensì all’ordine giudiziario.
Si tratta tuttavia di una argomentazione che difficilmente farà breccia, non essendovi nella legge Severino alcuna indicazione di questo tipo.
Sembra allora che non vi sia altra strada che quella della sospensione dall’ufficio di primo cittadino; almeno, e questa è l’unica buona notizia, al Sindaco subentrerebbe il Vice-Sindaco: a Napoli verrà dunque risparmiata l’onta del commissariamento prefettizio.
Discorso chiuso allora? Non proprio. Ad avviso dello scrivente, la legge Severino conterrebbe un importante profilo di incostituzionalità, costituito dalla violazione del principio del “giusto processo” consacrato dall’art.6 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà fondamentali; se infatti la sospensione è una sanzione amministrativa e non penale, essa dovrebbe giungere al termine di un procedimento amministrativo in cui l’interessato ha il diritto di difendersi (in tal senso, vedi la sentenza 20.10.2009 della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, causa Vallauri vs. Italia); operando la sospensione de iure, senza l’apertura di alcun contraddittorio, sarebbe violato l’articolo 117 della Costituzione, che impone al legislatore l’esecuzione degli obblighi internazionali, tra cui emerge la Convenzione su richiamata.
Nella giornata odierna, oltre alla richiesta di dimissioni avanzata da Marco Travaglio e Luigi Di Maio, erano arrivate anche le parole del Presidente del Senato Pietro Grasso, che ha dichiarato: “La legge Severino è una legge che va applicata, è stata già applicata anche ad altri sindaci. Penso sia inevitabile che venga applicata. Poi naturalmente ci sarà il seguito dell’appello, dell’impugnazione che potrà eventualmente dare un contorno definitivo alla vicenda”.
Francesco D’Avino