Esattamente venticinque anni fa il fato succhiava l’ultima goccia d’inchiostro dalla penna creativamente irrefrenabile di Alberto Moravia, spentosi nel suo appartamento romano all’età di ottantatré anni, ponendo fine così, ad una vita consumatasi tra le pagine di romanzi di successo e significativi impegni giornalistici.
Figlio di quell’inautentico universo borghese che egli scruta attraverso una lente di straniante distacco, Alberto Moravia, lettore insaziabile, scrive fin da giovanissimo fiumi di parole taglienti, costretto com’è, perché affetto da una rara forma di turbercolosi ossea, a rinunciare alle frenetiche e normali attività adolescenziali. È proprio durante gli anni trascorsi a letto, in tristi sanatori montani, che egli, destinato a diventare il più influente romanziere del XX secolo, sviluppa quella logica di osservatore escluso che gli consentirà di portare alla luce insuperabili capolavori letterari, in primis ‘Gli indifferenti’, opera-preludio di una lunga e brillante scalata verso le vette più ambite della letteratura italiana. Ritratto pungente di una società in declinio spirituale e in preda al fervore distruttivo del Fascismo, il primo romanzo moraviano traccia una precisa linea ideologica che verrà ripercorsa e riproposta con più profonda acutezza nelle opere successive: l’intento preminente dello scrittore è difatti, denunciare con lucida amarezza l’annientamento del rapporto tra l’uomo e la realtà e il conseguente disagio scaturito dalla mancanza di concretezza e sostanza in un’era nella quale ormai il capitalismo si è fermamente consolidato.
«Mi contemplava, con quel suo sguardo inespressivo, come se i suoi occhi fossero stati due scuri specchi che riflettevano la realtà senza capirla e, forse, anche senza vederla.» (La Noia-1960)
Alberto Moravia assiste non indifferente, al contrario dei personaggi dei suoi romanzi, alla disumanizzazione dell’individuo il quale imposta le proprie relazioni sociali ed interpersonali sul falso valore del possesso, per poi ritrovarsi privo di ciò che veramente conta, ossia identità e sentimento. Eppure il romanziere romano,nonostante la consapevolezza della crisi,non propone alcuna alternativa al sistema vigente e sebbene aderisca al Partito Comunista non ripone le proprie speranze in alcuna rivoluzione,quasi consapevole dell’esser giunti ad un punto di non ritorno: pur prendendo le distanze dalla borghesia,Alberto Moravia resta in un certo qual modo, legato agli orizzonti della borghesia stessa, senza mai riuscire a recidere assolutamente il legame con essa. E in seguito ad una breve parentesi populistica e neorealistica ,durante la quale scorge la vitalità positiva del proletariato contrapponendola alla malattia degenerativa che ha colpito la classe borghese, lo scrittore ritorna al suo meticoloso lavoro di analista delle problematiche più complicate ed urgenti della sua epoca, lavoro che in verità, lascia in sospeso soltanto apparentemente e che è invece, il perno portante anche di opere quali ‘La romana’ e ‘La ciociara’, espressioni di un’affascinante tendenza di assoluto abbandono al puro esistere naturale.
Oltre ad essere uno straordinario romanziere, attento alle tematiche letterarie e sociali più discusse, Alberto Moravia si rivela pure un cosmopolita giornalista, capace di affrontare con la sua inconfondibile oggettività, le circostanze più svariate riferite agli ambiti filosofici e politici, amalgamando così,i suoi molteplici interessi grazie ad una cultura vastissima nutritasi di numerosi viaggi all’estero intrapresi in qualità di inviato speciale di rinomati giornali. Nel 1953 suggella poi,il suo percorso di crescita giornalistica con la fondazione di ‘Nuovi Argomenti’, rivista di matrice chiaramente marxista e per la quale scrivono il suo amico e collega Pier Paolo Pasolini e sua moglie Elsa Morante.
Dunque, una vita intensa quella di Alberto Moravia, uomo determinato, quasi cinico col suo sguardo critico e penetrante rivolto ad uno scavo profondo del mondo a cui egli stesso appartiene e nel quale riconosce incosciamente la genesi delle sue sofferenze represse e della sua inquietudine. Senza dubbio, Moravia resta lo scrittore più rappresentativo dell’universo borghese e delle sue irrisolvibili contraddizioni: del resto,anche il suo approccio alla scrittura assolutamente antiborghese rimane del tutto inconciliabile con la sua vera essenza.
Anna Gilda Scafaro