Continuano i raid aerei della coalizione anti-IS, guidata dagli Stati Uniti. Alla coalizione si sono accodati anche Gran Bretagna, Belgio e Danimarca, che faranno operazioni in Iraq ma non in Siria, e si sta paventando la possibilità di un entrata nella coalizione da parte della Turchia.
Come annunciato al summit dell’ONU, il Parlamento inglese ha votato per l’avvio di operazioni militari della RAF in Iraq. La votazione si è conclusa con 524 voti favorevoli e 43 contrari. Durante la discussione, il primo ministro inglese David Cameron ha spiegato che l’operazione “durerà anni”, ma questo non sembra aver scoraggiato il parlamento inglese che ha votato favorevole in larghissima maggioranza. I raid dovrebbero cominciare nelle prossime ore grazie ai 4 caccia britannici di stanza a Cipro pronti ad unirsi al battaglione guidato dagli americani.
Nuove adesioni arrivano anche da Belgio e Danimarca. Con 114 voti favorevoli e 2 contrari, Bruxelles ha fatto sapere che si accoderà alla missione anti-IS inviando sei F-16. La missione votata prevede un impegno di un mese esclusivamente in Iraq e l’invio di 120 uomini, di cui 8 piloti che porteranno avanti i raid. “Dobbiamo lottare contro la tortura, contro le decapitazioni, quindi è tempo di agire” ha dichiarato il deputato del partito democristiano fiammingo Veli Yuksel. Anche a Copenhagen si è votato per l’adesione alla coalizione anti ISIS. La premier danese Helle Thorning-Schmidt ha dichiarato che c’è un’ampia maggioranza nel parlamento per l’invio di un contingente di 250 uomini, 4 caccia per una durata di 12 mesi. Anche la Danimarca, fa sapere Thorning-Schmidt, sarà impegnata esclusivamente in Iraq.
Vicina anche l’adesione della Turchia, con Erdogan che, dopo le voci che lo vedevano come finanziatore dell’ISIS e la liberazione degli ostaggi turchi in Siria, ha radicalmente cambiato la sua posizione. Tornato ad Ankara dopo il summit ONU a New York, Erdogan ha detto esplicitamente che “la nostra posizione è ora cambiata. Il processo che seguirà sarà totalmente differente”. Il presidente, infine, ha spiegato che le dovute decisioni saranno prese entro il prossimo 2 ottobre.
Intanto continuano i raid aerei contro l’IS in Siria. Secondo l’Osservatorio per i diritti umani in Siria, dall’inizio dei raid sono morti oltre 140 jihadisti e sono stati colpiti numerosi centri di raffinamento del petrolio. I raid si stanno concentrando soprattutto nelle province settentrionali della Siria, quella di Deir Ezzor, al confine con l’Iraq, e quella di Hasakeh. Secondo fonti locali gli ultimi bombardamenti hanno costretto gli jihadisti a frenare la produzione di energia, gas e petrolio tranne nella zona del Coneco, dove una centrale fornisce il gas per generare energia elettrica per sei intere province.
Nonostante i raid e le vittorie che la coalizione sta conseguendo con i bombardamenti, che stanno danneggiando i canali di finanziamento dell’ISIS, c’è comunque molta prudenza negli ambienti militari americani. Il capo del pentagono, Chuck Hagel, durante una conferenza stampa ha spiegato che i soli bombardamenti non serviranno a fermare l’avanzata dell’IS in medio oriente. “Occorre un’azione più ampia, anche politica e diplomatica” spiega Hagel, che aggiunge che serve “un esercito di 15mila siriani per combattere contro l’IS“, lamentando la carenza di risorse che il Congresso sta mettendo a disposizione dell’azione militare. Infatti, spiega Hagel, il Congresso sta spendendo ‘solo’ 7-10 milioni di euro al giorno, “ma ci vogliono altri fondi dal Congresso per andare avanti“.
Francesco Di Matteo