Gli svizzeri non ci stanno a dire addio al segreto bancario. Sono infatti circa 117mila le firme raccolte per l’indizione di un referendum sul mantenimento dello stesso, portato avanti dal Partito Liberale e da altre formazione di centro-destra. Il tutto proprio in concomitanza con il vertice Ocse in cui viene presentato l’accordo sul superamento della storica istituzione svizzera. Non si tratta però di un semplice ritorno alla situazione antecedente la firma dell’accordo voluto dall’Ocse per lo scambio automatico di informazioni fiscali e che porterà, nel giro di tre anni, all’abolizione di fatto della privacy dei correntisti. I promotori sarebbero orientati verso la salvaguardia del privilegio per i soli contribuenti e residenti svizzeri. “La protezione della sfera privata è un bene centrale in una società liberale” spiega Gari Huber, capogruppo liberale e fautrice dell’iniziativa, secondo la quale “questa specificità tipicamente svizzera è ora messa in discussione su pressione dei paesi indebitati”. Da Berna non arrivano dunque parole a favore di evasori e altri illegalismi fiscali, per i quali “le magistrature nazionali continueranno ad ottenere informazioni”.

Ma cosa è cambiato sostanzialmente dal 6 maggio scorso, giorno dell’abolizione de facto del segreto bancario? La sua istituzione risale al 1934 quando, durante la Grande Depressione, i Cantoni si posero come paradiso fiscale internazionale per i capitali in fuga dalle mire dei governi in crisi. Da allora la privacy bancaria svizzera è stata la più tutelata, contribuendo sostanzialmente alla copertura di numerosi evasori fiscali stranieri. Lo scossone, come detto, è stato dato dall’accordo Ocse, al quale hanno aderito tra gli altri Argentina, Brasile, Costa Rica, Colombia, India, Singapore, Arabia Saudita e, successivamente, Panama e Dubai. L’incentivo alla firma dell’accordo prometteva di evitare la lista nera dell’Ocse e, dunque, sanzioni da parte del G20.

A seguito dell’accordo, la magistratura non necessiterà più di autorizzazioni per l’acquisizione di informazioni riguardanti i capitali di cittadini italiani nascosti all’estero. Ammonterebbero a “120 i miliardi occultati dagli italiani nei conti delle banche elvetiche”, stando alla stima di Gabriel Zucman, ricercatore della London School of Economics. Sebbene le banche avranno tempo fino al settembre 2017 per adeguarsi alla nuova normativa, lo scambio libero di informazioni potrà partire già dal gennaio 2015.

L’abolizione de facto del segreto bancario si è inserita nella politica di lotta all’evasione fiscale condotta dai governi Monti e Letta. Quest’ultimo aveva tentato di accelerare il percorso legislativo sul rientro dei capitali dall’estero con il decreto sul voluntary disclosure, ricevendo però il no della Camera ad una regolamentazione della materia di iniziativa governativa. È in questi giorni in esame in Commissione Finanze alla Camera un disegno di legge in tal senso, il cui iter si dovrebbe concludere, stando alle previsioni dell’esecutivo, prima della discussione della legge di stabilità. Così come il decreto legge dell’esecutivo Letta, il disegno in esame si articola su una nuova procedura di regolarizzazione delle violazioni degli obblighi di monitoraggio fiscale, fondata sostanzialmente sulla denuncia spontanea di tutti gli investimenti e attività finanziarie detenute all’estero, in cambio di incentivi quali dimezzamento delle sanzioni fiscali e depenalizzazione del reato.

Riccardo Buonanno

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