La piazza di Roma, i tavoli della Leopolda, le dichiarazioni e le interviste a volte piccate e a volte risentite apparse sulla stampa. Il circus mediatico impazzisce per la guerra intestina nel PD di Renzi, in molti pronosticano una scissione imminente, ma la realtà dei fatti è già andata oltre: il PD, nel suo dualismo quasi ontologico, sembra già non esistere più.
Quello che è emerso agli occhi degli osservatori più attenti e smaliziati, infatti, è stata la totale mancanza di bandiere o simboli del PD in entrambe le manifestazioni del 25 ottobre. Nulla in piazza San Giovanni, nulla a Firenze. C’erano attivisti e militanti, ma il nome del partito è rimasto ben nascosto.
E questo perché i dem si trovano ad affrontare un frangente quantomai delicato, in cui le minacce di scissione e le controrepliche provocatorie sono all’ordine del giorno. Se n’è discusso già parecchio in passato, ma gli oltre 200 km che sabato separavano Roma e Firenze rappresentano, in questo momento, l’esemplificazione perfetta delle distanze scavate all’interno del PD.
Da una parte gli esponenti della cosiddetta “minoranza”, quelli che hanno sfilato al corteo della CGIL. Fassina, Cuperlo, Civati, i principali indiziati di un (ri)lancio del “Patto degli Apostoli” con uno sguardo ampio a sinistra, ovvero aperto a Vendola e Landini. Loro, da separati in casa, sono i primi ad ammettere che qualcosa è cambiato, che l’idea di un confronto interno nel PD volto alla sintesi non è più percorribile.
“Una scissione molecolare è già in atto”, afferma Fassina. E non deriva da riposizionamenti strategici all’interno del partito, ma dal merito delle proposte lanciate da Renzi: “Spieghi dove sono finite le risorse aggiuntive da destinare agli ammortizzatori sociali, oppure perché una misura come il bonus degli 80 euro viene elargita a chi ha 90mila euro di reddito anziché destinarla alle fasce più deboli. Oppure ancora: perché il premier continua a parlare di contratto unico quando invece nella delega lavoro rimangono tutte le forme contrattuali che già conosciamo?”
Gli fa eco Cuperlo, che definisce le provocazioni lanciate dal premier alla Leopolda come un tentativo “di allontanare una parte fondamentale del PD per trasformare il partito in subalterno all’establishment”.
Che fine farà la corrente di minoranza? La legge di stabilità ed il Jobs Act sono i veri terreni di battaglia su cui la fronda si allarga e prende le distanze da Renzi. Le conferme più rilevanti arrivano da Civati, con un’intervista a Repubblica: “È difficile restare, perché Renzi stressa sempre di più la situazione. Vedo se è possibile discutere di Sblocca Italia, articolo 18 e legge di stabilità, altrimenti… Insomma, non mi sono candidato al martirio. Per capirci, fiducia o meno io il Jobs Act e lo Sblocca Italia, così come sono, non li voto”. Sulle ipotesi di scissione nel PD, rincara la dose: “È il momento delle scelte. Io l’ho già fatta. Non mi permetto di dare giudizi, però si decidano”.
Dai tumulti di piazza ai toni scherzosi e pacati della Leopolda l’abisso è immenso. Renzi dialoga con gli imprenditori, occhieggia al ceto borghese, all’Italia “che dà lavoro” (ma poi paga le tasse all’estero, ndr), e minimizza la spaccatura in atto nel partito che lui stesso vorrebbe trasformare nel “Partito della Nazione”. Non ha paura che a sinistra nasca “qualcosa di diverso”, né tantomeno teme un confronto con le elezioni. Parole lanciate come strali di avvertimento, veri e propri moniti dal palco della Leopolda. L’impressione è che, anzi, Renzi sarebbe persino sollevato da una scissione che gli consentirebbe di appropriarsi definitivamente del PD ed accentrarne la gestione senza contraddittorio: a quel punto, avrebbe le mani libere per portare avanti il suo progetto di partito unico.
Nel turbine degli sconvolgimenti, però, c’è anche chi non ne può più di sentir parlare di spaccature e personalismi: ecco giungere in mattinata una comunicazione di Andrea Baldini, coordinatore nazionale dei Giovani Democratici, per una “Leopolda del PD” svincolata dalle logiche di corrente e posizionamenti che dilaniano il partito. Tra “una minoranza che parla di scissione in atto” e “un segretario che usa il bastone contro un pezzo del suo partito”, la giovanile esprime un invito al buonsenso: “Noi abbiamo ancora voglia di stare ad ascoltare le tante voci che di scissioni non vogliono neanche sentir parlare, ma hanno al contempo voglia di esprimersi, per costruire assieme la linea del partito, e non soltanto per ratificarla”.
Emanuele Tanzilli