Lucy” si presenta con un una trama intrigante, capace di far incassare al botteghino 44 milioni di dollari al debutto. Luc Besson non ci mette molto, però, a deludere anche lo spettatore più indulgente e affezionato dopo i successi di Nikita, Lèon, Il Quinto Elemento.

A Scarlett Johansson è affidato il ruolo di protagonista, ed è forse grazie alla sua interpretazione che non si corre il rischio di distendersi sulla poltrona e abbandonarsi alle braccia di Morfeo, il dio del sonno.

Siamo a Taipei, in Taiwan, dove Lucy viene costretta da un uomo che conosce a malapena a consegnare una valigetta dal contenuto ignoto. Entrata in un albergo, luogo di scambio, viene rapita dagli scagnozzi di un trafficante coreano (Choi Min-sik) e costretta a divenire corriere per una nuova droga, il CPH4 sintetico. Con un’operazione chirurgica, infatti, le è stato infilato un sacchetto della sostanza nello stomaco che, secondo i piani, le verrebbe estratto dagli acquirenti all’atterraggio nel luogo di destinazione. Ma qualcosa va storto; a seguito di un pestaggio di uno dei trafficanti il sacchetto si lacera e riversa il contenuto nel corpo della giovane. Magicamente Lucy è investita di un’intelligenza divina, che le permette di arrivare ad utilizzare gradualmente il 100% delle sue facoltà mentali.

Intanto uno sbiadito Morgan Freeman, relegato nel ruolo dello scienziato Samuel Norman, spiega che l’essere umano è in grado di sfruttare solo il 10% delle proprie potenzialità. Dopodiché il filo del discorso inizia a tremare, confuso tra teorie pseudoscientifiche poco attendibili, riflessioni filosofiche inconcludenti ed una sequenza di immagini di cui spesso è difficile cogliere il nesso. E il senso.

Il film si muove con un dualismo che mette in opposizione ambiente e tecnologia, natura e scienza, ma non sposa nessuna delle due tesi, e neanche sembra giungere a un compromesso. L’illimitata conoscenza a cui perviene Lucy la priva del suo calore, sino a renderla un automa spietato che di umano ha solo le sembianze. Dal momento in cui si rivolge al professor Norman in cerca di uno scopo da perseguire Non provo dolore, paura, desiderio. Tutta questa consapevolezza su ogni cosa…non so cosa farne” , ogni azione, inseguimento, colpo di pistola sarà votato a tramandare la conoscenza al genere umano. Non è ben chiaro il perché la padronanza completa delle proprie facoltà mentali la renda immune alle emozioni e temprata nell’insensibilità. Certo è che Scarlett ha dovuto faticare molto per superare l’inespressività del suo personaggio ed evitare di scadere in un’interpretazione piatta e noiosa. I suoi colleghi, invece, gravitano attorno a lei, moralmente vuoti e con una personalità denutrita, totalmente funzionale ad assecondare la sua nuova “missione per l’umanità”, o nel caso di Choi Min-sik, ad ostacolarla per questioni di affari.

La vita ci è stata data miliardi di anni fa, ora sapete cosa farne” è la frase un po’ pretenziosa con cui si conclude il film, dal finale più che discutibile. Il senso della vita, domanda cardine che percorre ogni scena, resta oscuro a noi spettatori; Besson si limita a manifestare il sapere supremo che permette di controllare la materia, gli impulsi elettrici e addirittura altri esseri umani, di viaggiare nei luoghi e nei tempi più remoti. Lucy, la donna più intelligente mai esistita, si imbatterà in Lucy, il primo australopiteco riconosciuto dagli antropologi, per dar origine, forse, a una nuova fase evolutiva. E’ evidente il suo ostinato tentativo di imporsi come profeta visionario, che però approda in un thriller d’azione fantascientifico esistenziale poco convincente.

Oltre alla Johansonn, altra nota positiva è l’uso degli effetti speciali che qui tocca l’apice nel cinema di Besson. Per il resto è barocco, criptico, di un’ambizione che non compete al suo autore.

Senza contare il fatto che i fan dell’ecologia e di Yann Arthus-Bertrand non potranno fare a meno di riconoscere le immagini silenziosamente riprese dal documentario “Home”, frutto della collaborazione del regista col giornalista francese.

Federica Margarella

2 Commenti

  1. “Dopodiché il filo del discorso inizia a tremare”
    Non trovo sia vero. Penso che il film sia pieno di messaggi davvero interessanti, ovviamente se si è disposti a coglierli.

    “confuso tra teorie pseudoscientifiche poco attendibili, riflessioni filosofiche inconcludenti ed una sequenza di immagini di cui spesso è difficile cogliere il nesso. E il senso.”

    Anche qua mi sento di dissentire.
    Già dall’espressione “teorie pseudoscientifiche poco attendibili” intuisco la probabile difficoltà nell’affrontare “le riflessioni filosofiche inconcludenti” che chiaramente, senza una minima riflessione pregressa sul tema, difficilmente si riescono a seguirle fino alla fine, e con ancora più difficoltà, a capire.

  2. Personalmente trovo tutte le sue riflessioni riguardo i messaggi del film da ignorante e saccente. Vengono affrontati temi filosofici di grande importanza che ovviamente, visto che ne parla in questo modo, non aveva mai incontrato prima. Capisco che il dare opinioni sia il suo lavoro, le consiglio solo meno spavalderia e convinzione nella presa di posizione per qualcosa che palesemente è lontano dal comprendere. Detto ciò, per mia personale percezione, il fulcro del film ci porta all’ipotesi (che poi tanto ipotesi non è, e varie cose dette dalla protagonista hanno una base scientifica e logica alle spalle) che siamo tutti collegati, siamo energia e come tale possiamo controllarla e il tempo (dunque la mortalità) è l’unica cosa che ci rende umani in questa esperienza di vita. Siamo pura energia e “nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma”, dunque come ha detto Lucy nessuno muore realmente, solo il nostro corpo di carne è mortale. Ci pensi su. Buona vita.

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