Siamo nel 1520 e in Italia inizia a farsi spazio, prepotente, una nuova realtà teatrale.

Le basi ben salde furono buttate giù dall’Orfeo di Poliziano e dal Cefalo di Correggio, ma con l’andare degli anni gli influssi umanistici fanno riaffiorare il gusto dell’arte classica che hanno come modello portante l’opera di Orazio, l’Ars poetica.

“Non sia più lunga né più corta del quinto atto la favola che vuole essere richiesta e rimessa in scena”.

Diventa la nuova regola per le varie rappresentazioni, accomunata agli stili indiscutibili di Plauto e di Terenzio che dettano legge per lo stile della commedia.

Angelo Beolco riesce a farsi spazio in questo particolare scenario sin da giovanissimo, tra gli scenari della Padova cinquecentesca.
Figlio illegittimo, non ha mai realmente notato la differenza che intercorreva tra i suoi fratellastri ed ha avuto la fortuna di crescere in un ambiente colto e signorile e sviluppare quindi le sue doti artistiche. Entra a far parte di una compagnia di attori di commedie e sembra che il personaggio che interpretava più frequentemente e il preferito del suo pubblico fosse Ruzante, un contadino particolarmente povero, simbolo quindi di una dura realtà, teatro delle guerre d’Italia che dalla seconda metà del Quattrocento hanno visto Francia e Spagna combattere per assicurarsi l’egemonia europea.

Da Venezia il voler rendere più realistica possibile l’opera teatrale ha fatto sì che gli attori potessero utilizzare il loro dialetto durante la recitazione. In questo modo le tradizioni locali potevano coesistere con le prestazioni artistiche e la popolazione stessa alimentava sempre di più un pubblico soddisfatto che gioiva nel vedersi così rappresentato.
Beolco, soprannominato poi Ruzante, si fa autore del “Pastoral” e poi, nella maturità, de “La Betia”, nelle quali ci narra delle storie quotidiane del contado, con le sue risse, amori, duro lavoro e quindi fatica e il faticoso “tirare avanti”.
Sul filone della particolarità del linguaggio si immette la “Moscheta”, commedia che prende il nome dal “parlar moscheto”, una lingua artificialmente raffinata che si contrappone al dialetto contadino. Proprio da questi giochi linguistici nasce la figura del “Villano”, un personaggio dalla psicologia elementare che vede sfaldare la sua già precaria realtà, che ha fame e non riesce ad afferrare le articolate trame sociali e politiche.
La realtà da lui percepita è semplice, ad una causa subentra un effetto, non ci sono sfumature e al nero si alterna sempre il bianco. Di conseguenza i contadini delle opere di Beolco si vedono patteggiare per la Repubblica, in opposizione al partito imperiale dei loro padroni.
L’autore non mostra nessuna simpatia nei confronti dei suoi personaggi.
Nel Pastoral si ride di Ruzante, per la sua arroganza , il suo essere sfacciato, sfrontato e diretto e per il fatto che la sua parlata non è di certo aulica e letteraria. Si ride della realtà contrapposta ad Arpino, un pastore che, chissà come, riesce a proferir quei termini dotti che da secoli i più grandi autori attribuiscono a qualsiasi personaggio della letteratura, senza distinzioni.
Una popolazione cinquecentesca ben rappresentata quindi dallo scrittore che con un personaggio egoista e crudele dimostra come, di fronte alla povertà e alla fame, l’istinto umano prevalica su ogni cosa e come, quindi, saremmo disposti ad andar contro i nostri stessi parenti pur di trovare un po’ di pace e di riuscir a soddisfare i nostri bisogni primari. L’intento iperbolico è alla luce del sole in un mondo in cui non c’è speranza per il sacro e la fame domina qualsiasi istinto.

Alessia Sicuro

Laureata in lettere moderne, ha in seguito ha conseguito una laurea magistrale alla facoltà di filologia moderna dell'università Federico II. Ha sempre voluto avere una visione a 360 gradi di tutte le cose: accortasi che la gente preferisce bendarsi invece di scoprire e affrontare questa società, brama ancora di tappezzare il mondo coi propri sogni nel cassetto. Vorrebbe indossare scarpe di cemento per non volar sempre con la fantasia, rintagliarsi le sue ali di carta per dimostrare, un giorno, che questa gioventù vale!

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