Negli anni in cui viviamo, la tecnologia sembra prendere il sopravvento sulla nostra fugace esistenza. Tutto ruota attorno all’informazione tecnologica: basta aprire internet sul nostro smartphone per essere aggiornati in tempo reale sulle previsioni del tempo, sui risultati calcistici e su cosa sta accadendo nel mondo. Tutto è estremamente “connesso” a livello telematico. Ma da circa un decennio o poco più, anche la letteratura con il prezioso lavoro di studiosi tra cui Franco Moretti si sta adattando ai tempi che corrono: signori, siamo nell’era delle digital humanities!
Per digital humanities (traducibile in italiano come informazione umanistica) si intendono quelle branche della scienza che uniscono appunto le discipline umanistiche all’informatica, inglobando il lavoro di studiosi di cultura classica, moderna e contemporanea, studiosi di editoria elettronica e data analyst.
Unire la cultura umanistica con la tecnologia e l’informatica non è certamente un’operazione facile, soprattutto perché la cultura si è spesso chiusa nel suo ristretto cerchio di classicità e raramente ha cercato di uscirne fuori. Le digital humanities sono forse quel tentativo che permette la ricongiunzione tra le dimensioni dell’informazione e il suo reale significato.
Vivere nell’era del multimediale, della tecnologia e dell’informazione, significa vivere in un’epoca storica di passaggio e di cambiamento e le discipline umanistiche possono sfruttarla come trampolino di lancio: le digital humanities hanno in primo luogo la volontà di spiegare e di rendere comprensibile cosa significa essere umano (nel senso letterale della parola) nella società odierna e, in secondo luogo, rappresentano l’espansione delle scienze umane e il loro adattarsi a un qualsiasi contesto. In tal modo lo studio della cultura diventa più moderno e non resta indietro nel tempo.
Ma come in tutti i periodi di trasformazione, c’è sempre qualcuno che non è d’accordo al cambiamento e alla rivoluzione. Gli oppositori delle digital humanities sono fermamente convinti che sia un tentativo malriuscito di risollevare la cultura che oramai è in crisi da decenni e soprattutto sono estremamente sicuri del fatto che lavorando in maniera tecnologica e informatica, si lavorerà su quantità e non su qualità.
Ovviamente ognuno è libero di credere e pensare ciò che vuole e ciò che ritiene sia più giusto, ma di fronte al successo risulta impossibile negare la veridicità delle cose. E, per inciso, sono tanti gli esperti e gli studiosi, insieme alle università che stanno lavorando a nuovi metodi di approccio alla cultura. Uno di questi è Franco Moretti, uno dei maggiori comparatisti al mondo e attualmente professore presso l’Università di Stanford dove ha fondato lo Stanford Literary Lab.
Negli ultimi anni Franco Moretti si è dedicato allo studio delle digital humanities inserendosi all’interno di un percorso innovativo per la cultura e che interseca la tradizione degli studi umanistici con quella del digitale, del multimediale e dell’informatica.
Quello che ha reso interessante il progetto di ricerca e di studi di Franco Moretti è il fatto che l’utilizzo di strumenti e materiale multimediale impone nuove strategie interpretative: si celebra così un connubio tra l’informatica umanistica e lo studio della letteratura, della filosofia e della storia. Chi studia la letteratura con i metodi digitali si trova al cospetto di grandi archivi e di algoritmi quasi incomprensibili: è quindi insieme un lavoro di qualità e di quantità.
Franco Moretti, ospite d’eccezione lo scorso marzo nell’ateneo federiciano, ha mostrato a professori, ricercatori, cultori della materia e studenti uno dei suoi “schemi caotici”, un pattern, un diagramma che ha usato per i suoi studi e ha mostrato in che modo si trovano spunti interessanti che cambiano il rapporto tra l’uomo e la letteratura. « La letteratura è una cosa concreta: mantenere un libro tra le mani, con la penna sottolinearlo, […]. Ora è invece un metodo astratto che trasforma l’oggetto che studiamo, il nostro rapporto con l’oggetto e il risultato.»
L’astrazione è il primo approccio delle digital humanities: il rapporto concreto con la letteratura viene quindi messo da parte e va a ridefinire lo studio della letteratura sulla base di elementi puramente astratti. E questo è il punto su cui la critica dibatte e non è concorde: tanti sono quelli che preferiscono avere tra le mani un libro fatto di carta e scriverci le note importanti e gli appunti e tanti sono coloro che preferiscono lavorare in maniera canonica e impostata.
In realtà tutto questo non significa fare un lavoro qualitativamente peggiore e non significa, ad esempio, accantonare e mettere da parte la classica impostazione filologica nella redazione di un’edizione critica di un testo. Rendere la cultura multimediale significa essere al passo col tempo, camminare di pari passo ad altre grandi discipline come l’economia, l’ingegneria, la statistica, che di giorno in giorno si servono della tecnologia per studiare e produrre nuovi ed esilaranti risultati.
La cultura continuerà ad avere il suo sapore di antico, il suo profumo di classicità e delicatezza, ma dovrà necessariamente essere affiancata alle digital humanities. Ecco perché questo giovane progetto coinvolge giovani studenti che non mettono da parte l’amore per il testo, ma da facenti parti di una generazione fresca e nuova, vanno alla ricerca dell’unione dell’antico e del moderno, del vecchio e del nuovo: all’ossequio del passato e della tradizione affiancano la riverenza e l’interesse per moderno e per il contemporaneo.
Arianna Spezzaferro