Sempre più spesso la società ci mette dinnanzi a scelte drammatiche, insostenibili, inestricabili, che riguardano il lavoro, contrapponendolo ad altri diritti fondamentali. Così si è costretti a scegliere tra diritto al lavoro e salute nella Taranto dell’ILVA o nella Salerno della Pisano, tra diritto al lavoro e diritto alla sicurezza nella Torino della Thyssen, tra diritto al lavoro (o meglio, ad una formazione lavorativa) e diritto all’istruzione per gli studenti della “Buona Scuola”. Forse si è applicato in modo totalitario, avulso dalla costruzione pratica e teorica e assolutamente distorto, proprio uno dei capisaldi aforistici più “pop” del pensiero marxista oppure, più realisticamente, sono lontani i tempi in cui “il lavoro nobilita l’uomo“, e lo sono altrettanto i tempi in cui “ricordati di santificare tutte le feste”. Infatti l’ultima in ordine di tempo tra queste tragiche ed insensate dicotomie vita-diritto al lavoro è più intima e privata, ma non per questo poco importante, e riguarda proprio il diritto alle festività e al riposo, al tempo libero da dedicare a sé ed ai propri affetti.
La liberalizzazione degli orari e dei giorni di apertura dei negozi e degli esercizi commerciali viene introdotta nel gennaio del 2012 dal governo Monti, preparata dal decreto “Salva Italia” alla fine del 2011 e da provvedimenti precedenti, e consente ai proprietari di aprire le serrande 24 ore su 24 e 365 giorni all’anno in completa autonomia, dunque festività (natalizie e non) comprese. Non è difficile immaginare come e quanto un provvedimento simile possa avere un impatto negativo sulla vita dei lavoratori e sulla struttura stessa del mercato del lavoro. L’accusa è rivolta al modello di sviluppo del commercio che non può essere sostenibile, soprattutto nelle città di provincia e per i piccoli esercizi, che rischiano di venire travolti dall’apertura di outlet e grandi magazzini ben più attrezzati a sostenere ritmi simili.
Il piccolo esercente non può infatti reggere questo tipo di concorrenza che si basa sull’abbattimento del costo del lavoro e risponde solo alle logiche della grande distribuzione. Tutti i sindacati sostengono poi che i risultati promessi dalle liberalizzazioni (maggiori consumi e maggiore occupazione) non siano stati raggiunti e non siano raggiungibili. Con l’avvicinarsi delle festività natalizie il tema è balzato al centro della discussione politica di fine legislatura, e le proposte di modifica delle normative vigenti arrivano da numerosi partiti di opposizione ma soprattutto dai sindacati e da diversi attori della società civile e dei cittadini.
In un quadro simile si inserisce la spettacolare azione di protesta svoltasi il 26 dicembre 2017 presso il centro grande commerciale “Le Cotoniere“, a Fratte in provincia di Salerno. La posizione di Potere al Popolo e di Rifondazione Comunista riguardo alle liberalizzazioni dell’orario di lavoro è molto chiara: «La chiamano “liberalizzazione” ma la libertà è solo quella dei proprietari della grande distribuzione di tenere i centri commerciali aperti più a lungo, senza nuove assunzioni, senza pagare lavoro notturno e tagliando il costo del lavoro per ora lavorata grazie alla flessibilità.»
La mattina del 26 dicembre 2017, «un nucleo di iscritti e militanti del Partito della Rifondazione Comunista – Sinistra Europea, circolo territoriale della Valle dell’Irno “G. PULETTI”, e dei Giovani Comunisti (la struttura giovanile di Rifondazione Comunista) hanno effettuato un “blitz” distribuendo un volantino soprattutto ai dipendenti delle varie attività e poi ai vari clienti presenti nel centro e solo successivamente hanno affisso tre striscioni ben visibili dai tetti del centro commerciale. Le frasi riportate su questi ultimi erano: “LAVORO CON DIGNITÀ . DIGNITÀ CON IL LAVORO”, “DIRITTO ALLE FESTE E AI RIPOSI PER TUTTE E TUTTI”, “LAVORO SI, SFRUTTAMENTO NO”.»
Lo scopo di tale iniziativa non è solo quello di denunciare in maniera plateale i casi di sfruttamento, sotto-salario, contratti atipici estremamente precari e a “grigio”, e licenziamenti, ma anche quello di organizzare competenze per assistere i lavoratori ed offrire a quanti si ritrovino in simili condizioni tutti i servizi legali, contrattuali, vertenzieri e di consulenza del lavoro di cui hanno bisogno oggi o di cui avranno bisogno nel prossimo futuro. Tali servizi possono essere erogati grazie alle varie professionalità e competenze innanzitutto degli iscritti e dei militanti della galassia sociale e politica che fa capo a Potere al Popolo, e attraverso i rapporti politici e organizzativi che si sono costruiti e si vogliono costruire con la rappresentanza dei lavoratori nella totalità e nella varietà delle sue sigle sindacali, ed insieme ai movimenti cittadini.
Dunque una prospettiva politica chiara e precisa, come sottolinea il coordinatore provinciale di Giovani Comuniste/i, Nicola Comanzo, che non si fermi alla denuncia delle attuali condizioni (disastrose) del mercato del lavoro, ma che faccia inchiesta e offra soluzioni e strumenti di lotta ai lavoratori per difendersi e poter contribuire in prima persona al miglioramento delle proprie condizioni e della propria vita, in modo solidale. «Solo rompendo il muro di solitudine in cui oggi vivono i lavoratori sarà possibile bloccare e “neutralizzare” lo sfruttamento selvaggio e il clima di paura presente in tutti i luoghi di lavoro, solo riprendendo “il filo collettivo” di quanti oggi sono costretti ad “accettare” qualsiasi condizione di lavoro sarà possibile riprendere il percorso per riacquistare i diritti perduti anche grazie alle politiche scellerate (Jobs Act, ad esempio) che i vari governi di centro-sinistra e di centro-destra hanno messo in atto negli ultimi due decenni. Per ritornare a vincere con il protagonismo dei lavoratori».
Proprio a tal proposito si vuole sottolineare un avvenimento emblematico riguardo al deterioramento del clima che si respira nella costruzione dialettica democratica delle relazioni lavorative: durante l’azione di protesta, i manifestanti sono stati fermati e privati del proprio materiale di protesta dagli agenti della vigilanza interna del centro commerciale, che hanno il semplice compito di servizio antincendio e di pronto soccorso e non certo di sicurezza pubblica. Un fatto di una certa gravità, che si inserisce in un momento storico in cui sembrano riemergere volontà di sottomissione, di ricatto e “terrore” dei dipendenti, che si trovano impossibilitati a mobilitarsi, non tanto a causa dell’uso della forza, quanto piuttosto da una differenza di potere e possibilità abissale tra la classe lavoratrice e la classe imprenditoriale dotata di capitale economico, che si trova col coltello dalla parte del manico e non esita ad agitarlo per i propri interessi.
Fortunatamente, i promotori della manifestazione non sembrano affatto intimoriti o preoccupati da questi rapporti di forza: altre simili azioni di protesta al fianco dei lavoratori e contro l’apertura festiva dei centri commerciali si sono svolte (l’ultima al Maximall di Pontecagnano) ed altre sono in programma nel Salernitano, con lo stesso impatto e la stessa finalità: difendere e rimettere al centro il lavoro, le persone e la loro dignità.
Il professore Gennaro Avallone sottolinea con queste parole lo spessore e la rilevanza cruciale di queste battaglie in prospettiva sistemica: «Questa iniziativa pone una domanda più generale, che non interessa solo la sfera del lavoro. La domanda è “che tipo di socialità vogliamo?” Vogliamo vivere la socialità semplificata del centro commerciale, fatta di vetrine e intrattenimento banalizzato, in cui anche alle bambine e ai bambini viene riservato uno spazio misero per il gioco, spesso dentro delle gabbie, oppure vogliamo uscire da quella socialità, costruirne una più ricca, in cui, ad esempio, per le bambine ed i bambini ci sia di nuovo la possibilità di giocare all’aperto, nei giardini, sulle spiagge, cioè in spazi diversificati e di tutti, e non in quelli privati e tutti uguali tra loro dei centri commerciali? Si è trattato, dunque, di una denuncia delle condizioni di lavoro, ma anche del modo di stare insieme, che sta dando troppo spazio al decoro ripetitivo e privatizzato dei centri commerciali, dimenticando la ricchezza eterogenea ed imprevedibile degli spazi pubblici, non sottoposti a modelli di comportamento prefissati. È un invito a riprendersi la vita, riappropriandosi dei tempi di vita ma anche degli spazi collettivi delle città.»
Meglio un altro aforisma pop del marxismo: “lavorare meno, lavorare tutti“.
Luigi Iannone