La notte di Capodanno si avvicina e lo scoccare della mezzanotte segnerà il passaggio tra la fine e l’inizio di nuovo percorso, seppure il discorso sia limitato ad una essenza metaforica. Tuttavia, il Capodanno partenopeo è più di una metafora: per qualcuno è un portafortuna.
Vivere il Capodanno a Napoli
Vivere il Capodanno a Napoli significa imbattersi in qualche rito tradizionale e propiziatorio. Significa immergersi in una realtà festosa dove si mescolano le tradizioni più varie che vanno dalla tavola alla lingeria rossa. La fine dell’anno si festeggia attraverso una moltitudine di usanze le quali sono ben radicate nella storia partenopea. Vediamo insieme alcune delle principali usanze pagane o religiose che attraversano il magico Capodanno partenopeo.
“I rituali del Capodanno si ripetono un po’ ovunque, in Italia e nel mondo, ma a Napoli assumono un significato speciale perché, qui, la scaramanzia è una concezione di vita”.
Alcune delle usanze partenopee
Se c’è una cosa che non deve mai mancare a tavola sono le lenticchie: per i napoletani questi legumi rappresentano un simbolo di buon auspicio che porta ricchezza e prosperità. Secondo un vecchio rito pagano bisogna mangiarle esclusivamente a mezzanotte proprio durante la sera della vigilia. Si associa alle stesse, il cotechino o lo zampone. Nel cenone di San Silvestro c’è l’immancabile insalata di rinforzo, utilizzata anche durante la vigilia di Natale per incrementare il menù magro perché privo di carne. A seguire, come primo, il tipico spaghetto alle vongole, mentre per i secondi senz’altro il capitone, il quale può essere imbottito o accompagnato col baccalà. Altra usanza culinaria sono i dolci, in primis gli struffoli e i rococò, i quali possono essere mangiati, sempre secondo tradizione, solo se intinti in vino; frutti che non devono mai mancare sulla tavola del cenone di San Silvestro sono i melograni e l’uva: vanno mangiati 12 chicchi uno per ogni rintocco di orologio. Accompagnano la conclusione della serata i fichi secchi e datteri.
Intingere un dito nello spumante e poi passarlo dietro l’orecchio non è un gesto di maleducazione, per cui non vi stupite: semplicemente è considerato un simbolo di buona fortuna per il nuovo anno che si prospetta, per cui, non temete, prestatevi!
Il Capodanno partenopeo oltre la tavola
Ebbene sì, il Capodanno partenopeo non si limita esclusivamente al buon cibo e dunque alla buona cucina e alle sue usanze che ne derivano. Allo scoccare della mezzanotte nel buio più profondo la città si illumina: dai balconi, dalle finestre e dalle terrazze vengono sparati i “botti” e cioè i fuochi d’artificio. I fatidici botti, in effetti, rappresentano la fase di passaggio, il fuoco è il simbolo della rimozione di ciò che di negativo c’è stato nel precedente anno ed il rumore a seguire allontana le energie negative. Un rito che nasce nel ‘600 presso le corti, per poi giungere fino alle nostre case. Il cult per antonomasia è certamente quello di indossare della biancheria rossa, la tradizione vuole che l’intimo venga buttato via il giorno dopo. La tradizione rivelatasi più pericolosa è quella di gettare dalla finestra delle cose vecchie e rotte, un modo per abbandonare in prospettiva del nuovo anno, ciò che risulta inutile; c’è anche, chi invece getta dell’acqua dal balcone, fungendo da liberazione dei mali dell’anima.
Insomma, un Capodanno scaramantico che ha posto l’attenzione dell’antropologo napoletano Marino Niola, secondo cui:
“I riti propiziatori agiscono come placebo, con il cenone che diventa un teatro in cui si mettono in scena timori e speranze. Napoli? Non è più superstiziosa di altre città. È però l’Università della superstizione, il luogo per eccellenza in cui s’insegnano cose a cui non si crede fino in fondo”.
Ah, non dimenticate che risulta di buon auspicio uscire il primo giorno dell’anno nuovo con dei soldi in tasca e soprattutto, incontrare un vecchio o un gobbo può solo portare bene.
Bruna Di Dio