A Sala Consilina il Toko Film Festival giunge alla sua quarta edizione, una rassegna cinematografica che apre alla cultura pur mantenendo ben salde le sue radici. Tra gli ospiti di questa edizione spicca Fortunato Cerlino, il Don Pietro Savastano di Gomorra.
Abbiamo intervistato i direttori artistici del Festival per scoprirne di più.
Toko, nel gergo salese, sta a significare un qualcosa di bello, che cattura l’attenzione di chi lo osserva. Ciò nonostante rimane un’espressione linguistica intraducibile. È così. È toko.
Questo termine da il nome ad un’associazione culturale che promuove da ben quattro anni una rassegna cinematografica nel pieno centro storico di Sala Consilina, che ha acquisito sempre maggiore visibilità e riscontro da parte dei cittadini, ma anche sotto un profilo nazionale e internazionale. L’evento è noto ai più come Toko Film Festival.
L’edizione di quest’anno si svolgerà nei giorni 29 e 30 di Luglio, il programma è molto ricco e vedrà come guest star (durante la sera del 29) Fortunato Cerlino, il celebre Don Pietro di Gomorra.
Abbiamo intervistato i direttori artistici del Toko, Alex Ferricelli e Luigi D’Auria, che ci hanno raccontato come, nel tempo, si è sviluppata l’idea di portare nel Vallo di Diano una rassegna sul cinema.
Come nasce l’idea di portare nel Vallo di Diano un festival sul cinema?
“Nasce sicuramente da una propensione individuale verso il mondo del cinema di ognuno di noi, è il settimo anno consecutivo che collaboriamo con un festival bellissimo, a Pisticci, il “Lucania Film Festival” chiamato anche “il Festival dei luoghi e delle persone”, proprio perché si creano dei forti legami tra le persone durante i giorni del festival in cui si percepisce davvero un’atmosfera particolare. Qualche anno fa, di ritorno da quell’esperienza, ci siamo detti: “Perché non proviamo a fare lo stesso anche nel Vallo, e soprattutto qui a Sala Consilina?” Avevamo 17-18 anni, già avevamo maturato la passione per il cinema, tant’è che qualcuno di noi precedentemente aveva seguito dei corsi sulle tecniche di cinema rudimentali, ci diedero un attestato. Ci chiamarono qualche anno più tardi, perché nell’ambito di un progetto regionale furono stanziati dei fondi per un’iniziativa di stampo culturale nel Vallo di Diano. Organizzammo un festival nel 2012 a San Pietro al Tanagro dal nome Smell Film Festival – Nel Vallo c’è puzza di Cinema e lì, tra l’altro, conoscemmo Olga e Tatiana Poliektova (registe russe) che ricoprirono il ruolo di giurate e quest’anno sono in concorso al Toko, e sono molto quotate in vista degli Oscar.
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E così, guardando anche al loro entusiasmo per il territorio (facevano addirittura foto ai cartelli stradali!) e forti di quell’ambiente magico che nasce ogni qualvolta si svolge un festival, abbiamo provato a ricrearlo. Cominciammo con l’edizione zero, come il nostro budget e realizzammo una rassegna con due personalità importanti del cinema salese come Andrea Di Maria e Giuseppe Bonito. La serata andò bene, proiettammo anche il best-off del Lucania Film Festival, e decidemmo di partire poi l’anno successivo con una vera e propria prima edizione del Toko”.
Siamo alle porte della quarta edizione del Toko Film Festival. Considerata la vostra crescita, sia dal punto di vista professionale che per quanto concerne la notorietà della manifestazione, come possiamo inquadrare questa edizione?
“Questa edizione si distingue sicuramente da un sogno. L’anno scorso era il periodo di Gomorra, c’era grande fermento per questa Serie TV e pensammo per scherzo di chiamare Fortunato Cerlino, il celebre Don Pietro Savastano. E il sogno sembra indirizzato a realizzarsi, perché durante la prima serata del festival sarà nostro ospite: a partire dalle 20:00 sosterrà il photocall di rito, incontrerà la stampa e poi il pubblico e noi ancora non ci crediamo. Sicuramente Fortunato Cerlino è il punto cardine di questa edizione, simboleggia il fatto che ci siamo indirizzati verso una dimensione un po’ più ampia; venendo a contatto con nuove case di produzione, realtà emergenti qualitativamente indiscutibili.
Ad esempio il Collettivo “Three Hub”, studenti della RUFA, studiano cinema pratico e non teorico e hanno realizzato vari cortometraggi con una concezione di team già ben improntata e distribuita a seconda delle proprie caratteristiche individuali. Questo va a rafforzare anche la nostra posizione in merito: fare cinema non significa solamente fare il regista o l’attore, ma significa sfruttare il proprio potenziale in base a ciò per cui può rivelarsi produttivo in quel determinato ambito. Sembra complicato, ma è la semplice realtà per la quale ognuno in una squadra ricopre un ruolo diverso. Un loro cortometraggio andrà a Venezia allo Short Italian Cinema, una selezione di sette corti, ma prima passeranno dal Toko”.
Come è diramato il Festival: tema, categorie, premi?
“Il tema è volutamente assente, per lasciare carta bianca e toccare più ambiti possibili. I premi sono tre: miglior regia, miglior cortometraggio dell’edizione, miglior cortometraggio d’animazione. Si evince che si distinguono due categorie ovvero fiction e animazione.
Quest’anno abbiamo dieci corti fiction e cinque di animazione. Tra i corti fiction ci sono sia il Premio David di Donatello che il Nastro D’Argento 2016 (rispettivamente “Casa Mia” e “Moby Dick”). E per quanto riguarda la categoria animazione c’è in gara il corto delle sorelle Poliektova di cui si parlava prima, innamorate di Pisticci, di San Pietro Al Tanagro, insomma dei nostri luoghi. E che, probabilmente, andranno a giocarsi l’Oscar. Glielo auguriamo con tutto il cuore”.
Vi inserite in un contesto sociale dove emergere sotto il punto di vista culturale/cinematografico è complicato. Rappresentate un baluardo di speranza, data la notevole crescita del Festival, come vi relazionate a questa cosa? E come motivate la scelta di restare in “chiazzaredda” ?
“Noi semplicemente crediamo nella nostra terra d’origine, tuttavia è importante fare rete in un periodo che denota il fatto che il “festival di cinema” nella sua composizione classica è scaduto. L’Italia, lo dicono le statistiche, è il paese in cui nascono e muoiono più festival di cinema in un anno. Motivo per cui è necessario, ma anche piacevole, fare rete pur dando un’idea fortemente ‘radicata’ nel territorio”.
L’esperimento del team Toko Film Festival è una bella sfida: realizzare una manifestazione improntata sulla cultura del cinema in un centro storico di una paese che non sembrerebbe essere esattamente Cannes. Ciò evidenzia la voglia di diffondere per quanto più possibile gli aspetti di una passione, creando dei processi di partecipazione a partire da ciò che più rappresenta l’autenticità di una realtà vissuta e che ancora oggi vivono i cittadini di Sala Consilina.
È una piccola rivoluzione, una lotta contro un retaggio culturale che sfocia nel ripensamento da parte del cittadino medio ad immettersi nel pubblico e nell’apertura a nuove forme di aggregazione che, in un modo o nell’altro, parlano la stessa lingua. Toko.
Giuseppe Luisi