Articolo 18 si o Articolo 18 no? Nelle ultime settimane pare che tutto il destino dell’intera Italia dipenda dal mantenimento o meno dell’articolo 18 nella giurisdizione in materia di lavoro. “Noi dobbiamo tutelare il diritto degli imprenditori di mandare le persone a casa” ha detto Renzi in diretta nazionale su Rai 3 a Che Tempo che Fa, ospite di Fabio Fazio.
Il ragionamento potrebbe anche avere senso. Tutelare il diritto degli imprenditori di mandare le persone a casa potrebbe portare il Paese ad una spirale positiva di sviluppo. Se i lavoratori non sono in grado di mantenere determinati ritmi di produttività può essere giusto mandarli a casa, e sicuramente non avere il posto assicurato a vita potrebbe spronare i lavoratori ad essere il più produttivi possibile, per mantenere il più al lungo possibile il posto di lavoro e assicurarsi un reddito costante nel tempo. Da questo deriva la discussione sull’articolo 18. Il famoso articolo, che fa parte dello Statuto dei Lavoratori e che porta avanti una legislazione a tutela del lavoratore che gode della reintegra in caso di licenziamento per ingiusta causa, è tra i principali obbiettivi del governo. Secondo l’esecutivo l’articolo 18 è antiquato, da abolire, un vero ostacolo alla crescita. L’articolo 18 “crea lavoratori di serie A e serie B“.
E’ vero, l’articolo 18 crea effettivamente lavoratori di serie A e serie B: ci sono i lavoratori ‘fortunati’ di aziende con più di 15 dipendenti che godono dei diritti sanciti dallo Statuto, compresa la reintegra; e ci sono lavoratori sfortunati che lavorano in aziende con meno di 15 dipendenti, o addirittura a nero, che sono alla mercè dell’imprenditore di turno impegnato ad ammortizzare il più possibile i costi per sopravvivere nell’economia del mondo globalizzato.
Il mercato del lavoro in Italia è disastrato. Ma certo non per via dell’articolo 18. Il mercato del lavoro è in profonda crisi per la persistente presenza di enormi tasse sul lavoro, e per i macigni burocratici che si abbattono sulle nuove imprese, macigni che automaticamente si abbattono sui lavoratori o potenziali tali.
L’abolizione dell’articolo 18, la tutela del diritto dell’imprenditore di licenziare può avere un senso, come detto, ma solo in determinate contesti. Negli Stati Uniti non è presente alcuna tutela per la reintegra dei lavoratori. Gli USA, però, non vivono una situazione di precariato costante ma, anzi, hanno vissuto una sempre maggiore crescita della produttività in quasi ogni settore. Non vi è un precariato pericoloso come in Italia, vi è un precariato virtuoso e volontario dettato dalla possibilità per i lavoratori di poter avanzare il proprio grado di benessere con la ricerca di un nuovo posto di lavoro, ricerca molto più facile per gli americani che per gli italiani.
La cancellazione dell’articolo 18, in Italia, potrebbe avere seri effetti sull’economia nazionale. Potrebbero esserci decine, forse centinaia di migliaia di licenziamenti in poco tempo, con un crollo del PIL vertiginoso. Le aziende potrebbero anche vedere sistemati, temporaneamente, i propri bilanci, ma visto che le aziende italiane non sono particolarmente produttive e convenienti per l’estero, anche per via della forza dell’Euro che rende costose le merci italiche, le stesse vedrebbero distrutto il mercato interno e quindi cadere in una spirale improduttiva e recessiva che potrebbe durare anche parecchi anni. Certo, dopo questo periodo le aziende italiane potrebbero anche abbassare il costo per unità di prodotto e quindi essere più competitive, ma ci sarebbe un mercato interno distrutto che impiegherebbe tantissimo tempo per riprendersi e per rendere di nuovo conveniente per le aziende assumere.
L’abolizione dell’articolo 18, o almeno una deregolamentazione a favore delle imprese, potrebbe avere un senso solo se si portasse avanti una serie di norme parallele che rivoluzionerebbero il mercato del lavoro. Innanzitutto un sistema di sostegno del reddito o di reddito di cittadinanza per tutte le persone che non hanno un lavoro o che guadagnano poco. Un sostegno del reddito, con un’imposta del reddito inversa per portare i redditi più bassi a livelli decenti, potrebbe mantenere il mercato interno che risulterebbe distrutto dalla massa di licenziamenti. Stesso discorso per un reddito di cittadinanza per i disoccupati. Sicuramente un taglio delle tasse sul lavoro potrebbe rinvigorire il mercato interno e spingere le aziende ad assumere. Un sistema di welfare integrato e migliorato per assicurare a tutti i cittadini servizi adeguati. Potrebbe avere un senso soprattutto in un’ottica del contratto unico, magari il contratto a tutele crescenti di cui si parla, e della cancellazione delle varie sigle contrattuali che hanno distrutto il futuro di una intera generazione.
Tuttavia in questo momento, il governo sta dimostrando di non avere la volontà politica di fare queste riforme (e di trovare questi fondi che, necessariamente, dovrebbero provenire dalle fasce ricche della popolazione), volendo abbattersi esclusivamente sui diritti dei lavoratori. Se l’obbiettivo è non avere lavoratori di serie A e serie B, la soluzione è una rivoluzione del mercato del lavoro e non la distruzione dei diritti dei lavoratori.
Francesco Di Matteo