“Un diki è l’unico posto in cui mi sia concesso amare. Un rifugio abbandonato, dimenticato da tutti, lontano dalla città. Devo nascondermi come se avessi commesso un ignobile crimine. Ma di cosa potete accusarmi? Amo. Può l’amore essere una colpa e la sua punizione? Amo. E se questo mi rende vittima e carnefice, dev’esserci qualcosa che non va. Il sole che brilla sull’Algeria, il mio amore non può vederlo. I nostri parchi, i nostri laghi, i nostri viali possono fare da cornice ai miei impulsi amorosi solo nei miei sogni più belli e più veri. Nella realtà rischierei lo scandalo, la repressione violenta. Qui dove è difficile amare, dove è difficile vivere, dove innamorarsi è peccato, il sesso è un tabù, e il cuore dovrebbe battere sotto comando. Ma non può. Amo e sono amata. Ma qui, qui ad Algeri, la cosa più naturale del mondo sembra un ostacolo insormontabile. I loro tabù sopprimono la nostra spontaneità, che è tutto ciò che abbiamo. Amo e sono amata. Tanto dovrebbe bastare. E tanto basta. Ovunque, ma non qui.”

In Algeria ogni esternazione d’amore, ogni manifestazione romantica, ogni palpitazione malcelata viene demonizzata e proibita prima del matrimonio. I giovani, con il loro tacito dissenso, s’incontrano in luoghi clandestini, come si stessero macchiando d’un disgustoso reato. Non tutti i giovani, però, sono costretti a questo. I ragazzi ricchi amano liberamente, con lo sguardo limpido rivolto ad un futuro in cui l’amore non genera gravosi complessi, appesantiti da una morale conservatrice. E proprio il sentimento che rende tutti uguali, lì, in Algeria, marca differenze d’un colore indefinibile, che solo la speranza può far apparire vicino al trasparente.

Sundra Sorrentino

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