C’è un giudice a Berlino, come qualcuno direbbe, che si occuperà di una vicenda che sembra tratta da un romanzo di Ian Fleming: un caso di spionaggio, di turchi che controllano altri turchi, ma al di fuori dei confini nazionali, in Germania, per l’esattezza.
I protagonisti della vicenda sono il premier Recep Tayyip Erdoğan, presunto mandante degli 007 chiamati a sorvegliare supposti seguaci di Fethullah Gülen, predicatore in esilio, i cui sostenitori, l’anno scorso, sono stati accusati di aver ordito un colpo di stato, poi fallito, ai danni del potere costituito.
Sin qui nulla di grave, se si pensa che, per stessa ammissione di Boris Pistorius, ministro degli Interni della Bassa Sassonia, il governo di Erdoğan aveva chiesto ufficialmente l’aiuto di Berlino per attuare questa gigantesca operazione di spionaggio, che avrebbe coinvolto oltre 300 obiettivi più un numero imprecisato di agenti.
Il problema sta, piuttosto, nei metodi utilizzati dal MIT, il servizio di intelligence turca, definiti «intensi e spietati» dallo stesso Pistorius, che ha stigmatizzato, in particolare, il fatto che i presunti sostenuti di Gülen vengano considerati come nemici dello stato turco pur in assenza di prove univoche e incontrovertibili a loro sfavore.
Dal punto di vista giuridico, l’attività di spionaggio non autorizzata su suolo tedesco è punibile dalla legge nazionale, ma il compito dei PM sarà anche quello di indagare sul modo con cui i servizi segreti turchi hanno ottenuto le informazioni in loro possesso — e cioè nomi, indirizzi, numeri di telefono e fotografie — sui loro bersagli.
A questo proposito, la polizia tedesca ha già svolto una capillare attività di contrasto alle operazioni degli agenti turchi: il mese scorso, infatti, è stata fatta irruzione nelle abitazioni di quattro predicatori musulmani di nazionalità turca, sospettati di spionaggio per conto del governo di Erdoğan ai danni di presunti sostenitori di Gülen.
Si tenga presente, inoltre, che la stessa posizione del predicatore di Pasinler è tutt’altro che chiarita, dal momento che lo stesso Gülen non ha mai ammesso il proprio coinvolgimento nel golpe di luglio.
Nel frattempo, però, in Turchia più di 40.000 persone sono state arrestate ed oltre 100.000 licenziate con l’accusa di legami con il movimento insurrezionalista, ed è proprio la durezza di tale reazione ad aver creato una frattura nei rapporti fra Istanbul e l’Occidente — Berlino in testa — determinato a non rendersi complice della repressione.
Vedremo come andrà a finire. D’altro canto, non si può dire che la Germania sia uno spettatore completamente disinteressato alle vicende turche: va ricordato, infatti, che da oltre un mese Deniz Yucel, giornalista di Die Welt, è in carcere in Turchia con l’accusa di terrorismo, un episodio che ha inasprito ulteriormente le già tese relazioni fra i due paesi.
Carlo Rombolà