In Spagna, già all’indomani delle elezioni del 20 dicembre si era capito che lo scenario non era dei più promettenti: nessuna maggioranza monocolore, nessuna chiara possibilità di esecutivo che si reggesse su basi solide. Nonostante ciò, proprio sotto Natale in molti credevano che, nonostante le difficoltà, i partiti avrebbero potuto mettere da parte egoismi e rivendicazioni per convergere su un candidato condiviso. Non è un caso che El País titolasse la sua analisi elettorale “Bienvenidos a Italia“, patria dell’ingovernabilità e del caos istituzionale. La situazione era paragonabile in Italia, per certi versi, a quella creatasi nel 2013 con la non-vittoria del PD. In quel caso l’accordo di governo, dopo la negativa dei Cinque Stelle a Bersani, si trovò rapidamente: c’era chi lo etichettava come “responsabile” chi come “accrocchio di poltrone”. In Spagna invece gli sviluppi sono stati più complessi, e si sono dovuti fare i conti con profonde incompatibilità ideologiche, ma soprattutto pressioni interne ai partiti.

Tempo scaduto, la Spagna torna alle urne.

Sono trascorsi più di quattro mesi da quando si sono tenute le elezioni, due da quando Sánchez si è sottoposto per la prima volta al voto della Camera. Erano le Idi di Marzo e l’impotente segretario socialista si era presentato al Congreso con un kilometrico documento dettagliatissimo stipulato insieme al partito di centrodestra, Ciudadanos, di Albert Rivera. Un documento offerto agli altri gruppi parlamentari come unica via percorribile, ovviamente declinata da tutti.

Il PSOE da una parte aveva in mano l’accordo firmato con Rivera, dall’altro aveva la corte dei partiti di sinistra, Podemos, Izquierda Unida, Compromís, che tentavano inutilmente di convincere Sánchez a mollare la presa a destra, stracciare il patto con Ciudadanos e tentare un governo di sinistra. E qui sono esplose le tensioni dentro ai partiti, soprattutto nei socialisti e in Podemos.

L’ultimo tentativo disperato è arrivato questo martedì, da parte di Compromís, formazione di sinistra autonomista valenziana, che ha cercato in extremis di far cambiare idea al PSOE con l’Acuerdo del Prado. L’accordo, un pacchetto essenziale di trenta misure sintesi dei programmi di Podemos e PSOE, è stato accolto dai socialisti nei contenuti, ma alla condizione che si formasse un governo esclusivamente socialista al massimo con l’inserimento di figure indipendenti. Questa condizione ovviamente non ha trovato d’accordo Compromís che ha ribattuto che non era concepibile utilizzare i sei milioni di voti di Podemos e confluenze come assegno in bianco per il PSOE. L’ultimo nulla di fatto di una lunga serie, tentativo che è stato però apprezzato dal re.

Avvicinamenti a sinistra: IU e Podemos correranno insieme?

Intanto in casa Podemos si sono attraversate non poche difficoltà interne che hanno comportato dei dissapori tra i fedeli a Iglesias e i militanti più vicini a Errejón, n.2 del partito. Diatribe interne a parte, le intenzioni della formazione morada (viola, ndr) sembrano essere cambiate rispetto a qualche mese fa. Se lo scorso giugno scrivevamo in uno dei nostri articoli che Iglesias non era disponibile a presentarsi alle elezioni con una “sopa de siglas” (zuppa di sigle) insieme a Izquierda Unida, nelle ultime settimane, anche alla luce dei promettenti sondaggi che danno il trentennale partito di Garzón in ascesa, l’unità a sinistra extra-Psoe sembra più vicina. A dicembre l’intesa era riuscita solo in Catalogna con En Comú Podem e in Galizia con En Marea.

Il primo ad aver spinto per una confluenza unitaria era stato appunto Garzón, leader di Izquierda Unida, che agli ultimi comizi elettorali ha portato a casa un milione di voti. L’abominevole legge elettorale però li ha fortemente penalizzati e questa sarebbe una motivazione in più per unire le forze insieme a Podemos e far pesare di più quel bottino di voti. Basti pensare che secondo i sondaggi una candidatura unica IU-Podemos supererebbe in voti e seggi il Partito socialista. Quest’ultimo infatti proprio negli ultimi giorni sta cercando di dissuadere IU, impaurito dalle ripercussioni che questa scelta potrebbe avere.

Pablo Iglesias e Alberto Garzón stanno intrattenendo in questi giorni una fitta rete di incontri per raggiungere un accordo che certamente gioverebbe in termini elettorali nella distribuzione dei seggi ma anche nel gioco-forza del centrosinistra nei confronti dei socialisti.

Una campagna elettorale atipica.

Chi dice che queste elezioni saranno la riproposizione dello scenario di dicembre sbaglia perché le condizioni politiche sono profondamente cambiate: l’isolamento del PP nei confronti di un quadro politico più fresco, l’esitante Sánchez schiacciato dal peso dei calibro 90 del partito come González e Díaz, l’intransigente atteggiamento di Iglesias e la manovra accentratrice esercitata da Ciudadanos sul PSOE. Di un altro pianeta invece le parole e i gesti dei deputati indipendentisti, che dal primo momento si sono atteggiati realmente come marziani in Parlamento.

Si chiude quindi la più breve legislatura della democrazia spagnola e inizia, ufficialmente il 10 giugno ma di fatto già in atto, una nuova e atipica campagna elettorale. I partiti stanno cercando, a quanto pare invano, di trovare un accordo per ridurre quanto più possibile le spese elettorali che, ricordiamo, allo Stato spagnolo sono costate 130 milioni nell’ultima tornata del 20 dicembre. Sarà interessante osservare i nemici che additeranno i partiti così come sarà rilevante analizzare gli elementi di differenza rispetto alle ultime elezioni, dagli slogan sui manifesti sino ai consueti dibattiti.

Un manifesto elettorale di Sánchez delle ultime elezioni di dicembre.
Un manifesto elettorale di Sánchez delle ultime elezioni di dicembre, a Madrid. (foto: Alvaro García, El País)

Martedì il re Felipe VI scioglierà le camere e da lì il count-down inizierà di nuovo per arrivare all’epilogo del 26 giugno, data in cui i cittadini spagnoli saranno chiamati a esprimersi di nuovo e rimescolare le carte per un secondo tentativo. Intanto il Partito Popolare e Mariano Rajoy tirano un sospiro di sollievo, il pericolo che la sinistra tornasse al governo per ora è stato scongiurato.

Giacomo Rosso

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