Ritorna la quiete, oggi, nella sala del bronzino al Quirinale.
Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano si è lasciato alle spalle i 20 quesiti preparati dai pm di Palermo sulla presunta trattativa stato-mafia riguardante il periodo 1989-1993.
Dal colle scende la Corte d’assise e sale il presidente Polacco Bronislaw Komorowski per porre altri quesiti riguardanti la crescita dell’europa e la Russia. “La mia voce, oggi, è un po flebile”, esordisce così Napolitano all’incontro con la stampa di questa mattina.
D‘altronde ha parlato molto durante l’interrogatorio di ieri durato ben 3 ore, dove il presidente ha ricostruito il periodo dei primi anni ’90 raccontando in modo sereno, preciso e a tratti scherzoso i fatti dell’attacco-ricatto di stato e mafia.
Al suo ingresso nessuno si è alzato, anche la Corte, racconta chi era presenta, è rimasta seduta all’ingresso del Capo dello Stato “come sempre avviene quando entra un testimone nell’aula destinata all’udienza”.
Leonardo Agueci, procuratore capo di Palermo sottolinea come il presidente della Repubblica non sia il “testimone chiave” ma bensì “La sua testimonianza è solo un tassello del mosaico, l’istruttoria dibattimentale andrà avanti e sono previste nuove testimonianze di importanti figure istituzionali dell’epoca. Il Presidente non ha mai ammesso della trattativa ma ha detto cose importanti”.
“Napolitano” afferma Vittorio Teresi “ci ha dato un importante contributo per la ricerca della verità”.
Non è però della stessa idea il leader del M5S Beppe Grillo che stamattina, sul suo blog, accusa aspramente il capo dello Stato di “portare le istituzioni nel fango” lasciandosi andare a numerosi dilemmi e critiche di questa storia rinominata dai grillini “Romanzo Quirinale” a differenza del
PD e NCD che, al contrario, sono accomunati dall’idea che quello di ieri è stato “un giorno triste per le istituzioni”.
Durante le 3 ore d’interrogatorio non spunta mai la parola “trattativa” e Napolitano afferma di non aver mai saputo di “indicibili accordi” come al contrario era scritto nella lettera di Loris D’ambrosio, suo consigliere giuridico.
D’ambrosio, in quella lettera recapitata al presidente 5 settimane prima del decesso, confidava i turbamenti dei primi anni ’90 : “Vivo con il timore di essere stato allora considerato solo un ingenuo e utile scriba di cose utili a fungere da scudo per indicibili accordi”.
Napolitano si limitò a respingere le dimissioni di D’Ambrosio senza più parlare dell’accaduto.
E’ proprio nell’espressione “indicibili accordi” che Vittorio Teresi, procuratore aggiunto, vende una possibile allusione alla trattativa.
Gli altri quesiti posti sono relativi agli attacchi e minacce del 1993 alle istituzioni, in quel periodo, dice Napolitano, “si ebbe la consapevolezza di un aut-aut nei confronti dello Stato”. Tali minacce erano usate dalla mafia corleonese per alleggerire la pressione detentiva o semplicemente era pura strategia per destabilizzare lo Stato, “ne fummo tutti coinvolti”.“Il presidente ha detto sostanzialmente che i vertici delle istituzioni avevano la piena consapevolezza che gli attentati e le stragi fossero opera della mafia corleonese” dice Tesi. “Cosa nostra, in particolare Totò Rina aveva capito che le bombe potevano essere la strategia giusta per costringere lo stato a venire a patti” la dichiarazione di Nino Di Matteo.
Giorgio Napolitano, seduto dietro la scrivania si è lasciato sottoporsi a numerose domande senza mai avvalersi delle prerogative costituzionali di cui gode, spesso ricordategli dalla corte. Come scritto nel comunicato stampa del quirinale :“il presidente ha risposto alle domande senza opporre limiti di riservatezza connesse alle sue prerogative costituzionali” .
Per sapere tutta la verità sui fatti bisognerà aspettare la trascrizione dell’udienza che, fanno sapere, arriverà in massimo tre giorni.
Giuseppe Ianniello