Cari i miei venticinque lettori [1], buona domenica e bentornati al brainch.

Non siete contenti? Dal prossimo 1° Gennaio il Jobs Act entrerà in vigore e la disoccupazione sarà finalmente sconfitta, annichilita, azzerata. Io sto già contando i giorni: con oggi, siamo a -32. Fra poco più di quattro settimane gli annunci di lavoro si moltiplicheranno, le aziende telefoneranno per colloqui differenti dal posto di operatore call-center e i disoccupati, spiazzati, non sapranno cosa rispondere se non “Ma guardi, veramente io non me l’aspettavo… ho mandato il curriculum più per svago che per altro… non ci sarebbe un posto in un call-center?” [2].

La rivoluzione renziana è pronta, la ghigliottina calerà implacabile tagliando le tasse invece delle teste, le carceri saranno distrutte per liberare il mercato invece dei detenuti, e alla cima del popolo ci saranno loro, i veri eroi del Paese: gli imprenditori, che sventoleranno la camicia al posto della bandiera e renderanno giorno di festa il 18 di ogni mese, in memoria dell’ormai articolo che fu, finalmente caduto sotto i colpi dei tasti al Parlamento, più devastanti dei cannoni e delle bombarde [3].

Siamo liberi, finalmente, e la disoccupazione sarà presto un ricordo così lontano, che neppure riusciremo a ricordarci che roba è, di che si tratta, se si mangia oppure è un complotto dei sindacati per picconare il Governo. Naturalmente, poiché dobbiamo essere moderni e globali, percepiremo salari come in Albania pagando tasse italiane verso sedi legali in Lussemburgo per conto di padroni cinesi. Semplice meritocrazia, il migliore vince, e noi vogliamo essere i migliori. Anzi, noi siamo i migliori: così aristocratici, nel senso etimologico del termine, da non avere neppure bisogno di tutele. Così chic da non aver bisogno di garanzie e certezze, così market-friendly da non aver bisogno da attrarre investitori snellendo la burocrazia e contrastando la criminalità, ci basta coniare neologismi così fighi da catapultarli verso di noi con un tweet ed un hashtag [4].

Brainch
Autrice: Laura Arena

Cari lettori, vorrei potervi dire di non essere ironico, purtroppo non è così. Del resto, chi padroneggia l’ironia è già a metà strada per conquistare se stesso. Quel tragitto che a noi manca, esiliati da orizzonti prospettici per la bulimica miopia del potere.

La disoccupazione ha raggiunto un nuovo apice, superando il 13%. Quella giovanile, non ne parliamo neanche. Ci promettono crescita e tagli alle tasse, che non solo non servono a far ripartire i consumi, ma neppure ad impedire alle aziende di chiudere e delocalizzare. In Europa ci dicono che con ogni probabilità avremo bisogno di manovre aggiuntive per rispettare i patti. E i patti ci impongono di smettere di essere persone e diventare numeri.

Numeri, come quelli che ho disseminato lungo quest’articolo per dimostrare che:
– so contare;
– so scrivere;
– so essere ironico [5].

Numeri che non basteranno a cambiare alcunché, d’altronde la matematica sarà pure il linguaggio di Dio, ma non è mai stata il pane dell’uomo. È l’uomo, ora che ci penso, quel che stiamo dimenticando in mezzo a solonici discorsi e retoriche dissertazioni. L’uomo in quanto principio e in quanto fine – non in ottica antropocentrica, ma più banalmente umanitaria. I due estremi, principio e fine, sono stati sradicati dalla concezione utilitaristica per cui l’uomo adesso non è altro che il mezzo per conseguire il profitto economico; null’altro che un fattore produttivo di una catena che termina e inizia col profitto. Scontata analisi anticapitalistica, direte voi. Ma non vorrei giungere a tanto. A darmi fastidio è la contraddizione manichea profusa nelle coeve logiche socio-economiche. L’idea per cui gli imprenditori siano eroi ed i lavoratori guastafeste, gli investitori mano della provvidenza e il popolino misera e sgraziata coda causa di disequilibrio [6].

Ho sentito dirne di tutte, in questi mesi. Che dobbiamo essere ottimisti. Che la crisi è alle spalle, che è pronto il New Deal europeo. Che la flessibilità creerà lavoro senza svilire i diritti. Che chi protesta lo fa solo perché è annoiato, che il progresso non si contratta, si accetta e basta.

Tutto molto bello, tutto molto facile, tutto molto divertente. Peccato che qualcuno non se ne sia reso conto, e sia stato così stupido da togliersi la vita invece che uscire fuori a sorridere. Centinaia, migliaia di idioti che non hanno apprezzato i sacrifici della politica per salvarli dalla miseria e dalla disperazione. Ancora qualche mese e finalmente avrebbero avuto un articolo 18 in meno a cui pensare, quegli sciagurati.

Invece, all’ironia della sorte hanno preferito l’ironia della morte [7].

Alla prossima.

 

Emanuele Tanzilli
@EmaTanzilli
ilbrainch@liberopensiero.eu

 

(I motivi che dimostrano che so scrivere e so essere ironico:
[1] Citazione letteraria erudita
[2] Battuta divertente
[3] Metafora storica
[4] Sapiente commistione di termini aulici e moderni
[5] Elenco che spiega il perché dell’elenco: loop logico
[6] Sfoggio di erudizione filosofica
[7] Brillante gioco di parole)

Scrivo per dimenticare.

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