Si è tenuta ieri, presso il Rodaviva Bar Libreria di Cava De’ Tirreni, la presentazione di Narcomafie, nella sua edizione speciale “Racconti di Mafia”, a cura di Libera.
“La letteratura come strumento di mafie e antimafia” è il modo migliore per descrivere Narcomafie, la rivista mensile del Gruppo Abele in collaborazione con l’associazione
Libera. Riccardo Christian Falcone, responsabile della comunicazione del coordinamento provinciale di Libera, ha moderato gli interventi dei tre ospiti seduti al tavolo, in occasione della presentazione del numero speciale “Racconti di mafia” a Cava De’ Tirreni. Presente all’iniziativa anche Anna Garofalo, referente provinciale di Libera.
Il primo ospite ad intervenire è stato Piero Ferrante, uno dei redattori della rivista: “Non esiste la taumaturgia letteraria.” – ha chiarito – “La letteratura non risolve i problemi, non riduce le disuguaglianze, ma fornisce chiavi di lettura, sebbene sia soggetta alla “querela temeraria” e al “bavaglio”, alla stregua del giornalismo, da parte dei poteri forti“.
Ha poi ripreso il tema anche l’intervento successivo di Massimiliano Amato, Salerno Noir: “Il giallo nasce come l’espressione più alta della letteratura di evasione” – definendo “quasi meglio della cronaca” il genere letterario, che nel corso del tempo ha analizzato anche temi come la differenza tra l’economia legale ed illegale.
Marcello Ravveduto, docente dell’Università Degli Studi di Salerno (Public and Digital History) e membro del comitato scientifico della rivista, ha, infine, definito le mafie come parte della storia del paese, di cui abbiamo la necessità di raccontare. Il suo spontaneo riferimento a Manzoni fa emergere, in aggiunta, parallelismi nell’indagine sociale e del contesto tutt’altro che scontati. Il docente, studioso degli immaginari collettivi, colloca il genere in una letteratura dinamica e transmediale (comprendente, cioè, cinema, televisione, letteratura, carta, web e graphic novel), non dimenticando i riferimenti ad un nuovo modo di intendere la musica nell’ambiente napoletano: il nuovo rap di chi produce una narrazione del contesto sociale, conosciuto e naturalizzato, pur non facendone parte.
La serie tv “Gomorra“, secondo Massimiliano Amato, ha imposto il proprio lessico, sostituendosi al dialetto classico in alcune zone e creando un po’ di confusione in termini di narrazione (a causa dell’assenza di un glossario preventivo), oltre al cosiddetto fenomeno dell’iperrealismo (di cui già soffriva anche il libro di Saviano). Amato si dice convinto che Marshall McLuhan avesse ragione quando affermava che “l’eccesso di narrazione annulla il messaggio“.
Narcomafie, secondo Ferrante, utilizza l’estetica per raccontare quella che poteva essere l’etica. Quella che può sembrare una smiticizzazione, avvicina il lettore ai protagonisti delle storie proprio perché il bisogno di raccontare la società in modo diverso appare, oggi, lapalissiano.
Ferrante ha concluso il suo intervento sensibilizzando il pubblico in sala alla ricomposizione di un sistema sociale di consenso, che recuperi il concetto di egemonia di Gramsci nella lotta alla criminalità organizzata.
Abbiamo la necessità di conoscere e di raccontare ciò che avviene quotidianamente tra le strade e nelle stanze. Non è un caso che la rivista sia stata dedicata a Giancarlo Siani, simbolo dei giornalisti uccisi dalla criminalità organizzata.
Sara C. Santoriello