Il Nouveau Théatre de Poche ha aperto il suo sipario, dal giorno 25 al 27 maggio, all’adattamento di Lorena Leone dello spettacolo “La riunificazione delle due Coree” di Joël Pommerat in cui analizza il concetto d’amore sotto varie sfaccettature.
Si tratta di un progetto che ha preso vita dalle attività di un laboratorio che riguardava un lavoro sul corpo, sull’ascolto e sullo stare in scena in relazione allo spazio e agli altri, al silenzio e alla parola. La regista Lorena Leone, da sempre affascinata da questa rappresentazione teatrale, ha deciso infatti di metterla in scena come se fosse un flusso continuo, una cascata di parole e di sentimenti d’amore che a partire dai giovanissimi attori, sempre tutti presenti sul palco, invade tutti gli spettatori.
Così la scenografia essenziale viene resa antropomorfa dagli stessi attori (Annalourdes Auciello, Federica Cinque, Luca Cotugno, Giuseppe Fedele, Marica Ferone, Alessia Lamoglia, Antonio Polese, Claudia Scuro, Francesca Somma, Salvatore Testa, Francesca Vico e Fabio Palliola che veste anche il ruolo di assistente alla regia) che daranno vita a un continuo flusso emotivo e ad una performance teatrale che lascia ampio spazio anche alla ricezione, come se il gruppo attoriale stia effettivamente condividendo con gli spettatori anche le varie reazioni emotive.
La questione centrale posta da Pommerat e ripresa da Leone è quella dell’evoluzione di tutte le sfaccettature del processo amoroso ed entrambi hanno come scopo quella di renderla nel modo più semplice e meno ambiguo possibile. Da ciò la realizzazione di vari piccoli sketch che vogliono indagare sulla reale quotidianità e vogliono comunicare il reale tema dell’amore, senza preconcetti e soluzioni preconfezionate.
Così come molti artisti (tra cui l’attualissima Julie Maroh), scrittori e registi (autori della nostra millenaria tradizione di romanzi d’amore e di pellicole che scavano l’animo) hanno e continuano a professare, l’amore non è semplice e non è un traguardo; l’amore si costruisce giorno per giorno e ha come ingredienti la fiducia e la complicità. L’amore è crescita e condivisione di tutta una vita. Solo per queste motivazioni ci si può promettere di vivere insieme “in salute e in malattia, finché morte non ci separi”, solo a queste condizioni un marito può riuscire a star vicino ad una moglie che a causa di un incidente soffre di memoria a breve termine e non riconosce più né lui, né i suoi figli, dopo 17 anni di matrimonio. Lorena Leone ci racconta questa vicenda che prova la profondità di un rapporto e lo stretto legame che è capace di unire due persone. Lo strazio e il dolore aleggiano: lei ha dimenticato il suo amore e ciò che un tempo la teneva in vita; lui non è capace di andare avanti e si aggrappa con tutto se stesso al ricordo di ciò che erano.
Allo stesso tempo esiste anche un’altra faccia della medaglia: c’è chi ha sempre vissuto la vita di coppia come un automa, seppur sposato da anni. Così Leone mette in scena la storia più amara di due sposi che non hanno mai provato l’amore dopo 20 anni di matrimonio: “Voglio divorziare perché preferisco la solitudine alla mancanza di amore”. È così che viene messo in campo il vuoto, l’assenza e l’ombra di ciò che sarebbe dovuto essere, ma che non si è mai manifestato.
Quando, ancora, si arriva all’insofferenza della propria routine si può sfociare nell’egoismo e nell’evasione: Fabio Palliola interpreta un padre di famiglia che approfitta di una prostituta con tutta la sua ipocrisia.
Non esiste solo l’amore di coppia e quello matrimoniale: forse il legame forse più viscerale è quello che unisce i genitori ai loro figli. Leone ci suggerisce come questo amore sia desiderato e ambito, tanto da far impazzire due sposi per colpa della loro impossibilità ad avere bambini; o ancora altri genitori appaiono terrorizzati per tutti i pericoli del mondo che potrebbero intaccare la loro prole.
Tutte le vicende sono predisposte come tessere di un puzzle legate da un unico fil rouge: un telo rosso che, figlio di una tradizione millenaria, assume man mano connotazioni diverse. Gli attori lo raccolgono e lo indossano continuamente e di conseguenza assume varie simbologie: la distanza sentimentale che si accorcia sempre di più tra due anime innamorate; il velo rosso della lussuria con il quale si veste la prostituta prima ammiccante e poi ferita; un segno di congiungimento con cui due innamorati si legano; un elemento scenografico perché l’amore aleggia ovunque, dettato dalle parole degli attori.
Leone riprende così “La riunificazione delle due Coree”, uno spettacolo che ha come soggetto la felicità e il vuoto della mancanza, dalle note dolci e amare, storie di persone lontane che, come gli abitanti delle due Coree sono maturate e hanno ritrovato se stesse solo dopo aver riabbracciato i loro cari.
L’amore è una guerra contro se stessi, una battaglia che ha come premio la propria completezza e il miglioramento del proprio mondo. Noi combattenti possiamo solo cercare di andare avanti, rispondendo ad ogni attacco, con le sole conoscenze che abbiamo e con la speranza di aver guadagnato anche un solo pezzettino di noi ad ogni esperienza vissuta.
Alessia Sicuro