In questo periodo ci si chiede se i gilet gialli saranno il nuovo Movimento 5 Stelle francese. Intanto, potrebbero partecipare alle prossime elezioni europee, mentre il Partito Comunista Francese e Rassemblement National (il nuovo nome del Front National di Marine Le Pen) hanno chiesto ai gilet gialli di entrare nelle loro liste elettorali, anche se l’ipotesi più probabile è che, se mai si presenteranno, lo faranno con una propria lista.

Vista la rilevanza politica e mediatica crescente di questo movimento, anche il Movimento 5 Stelle ha voluto dare la propria opinione tramite Alessandro Di Battista il quale, tra un assalto ai poteri forti e un’invettiva alla finanza, nel suo post invita al massimo supporto per il movimento francese dei gilet gialli che, a suo dire, rappresenta una sorta di crociata contro la globalizzazione. Un ex deputato M5S, addirittura, ha lanciato il Coordinamento Nazionale Gilet Gialli.

È quindi il caso di chiedersi se e quali siano i punti di contatto tra i gilet gialli e il M5S (e capire perché il movimento de gilets jaunes non diventerà mai il M5S francese).

Cominciamo dalle diverse rivendicazioni e dall’essenza altrettanto differente sui due versanti: i 5 Stelle si fanno portatori di una frattura Nord-Sud (i risultati delle ultime elezioni lo dimostrano, con una spartizione Lega-M5S lungo questo asse geografico) che in Francia non esiste. Anzi, la Repubblica d’oltralpe conosce un’altrettanto profonda frattura articolata tra periferie e centro città, tra zone rurali e zone urbane, che ha un carattere differente dalla questione meridionale.

La divisione tra Parigi e il resto della Francia, in particolare quella grande area centrale del paese, non è prettamente economica – con una capitale nettamente e strutturalmente più ricca delle altre province. Inoltre, non ha nemmeno a che fare con la performance delle Istituzioni, uniforme sul territorio francese grazie a un lungo processo di centralizzazione e standardizzazione che dura da secoli.

La questione, come si diceva, è diversa: mentre in Italia abbiamo piu centri economici e culturali di attrazione, la Francia basa questa attrattività su cerchi concentrici: uscendo da Parigi si trovano prima le periferie, poi le banlieue, poi le industrie, poi la campagna. Uno schema che si ripete simile intorno ad altre città importanti come Lione, anche se le possibilità concrete (stabilità del lavoro, stipendi, servizi) di chi vive a Parigi rimangono ineguagliate in Francia – particolare, che tanto particolare non è, mai del tutto digerito da chi vive fuori da Parigi.

Proseguendo con le differenze tra il M5S e i gilet gialli, la condizione all’interno della quale si inseriscono i due fenomeni è estremamente diversa. La protesta d’oltralpe è indirizzata contro l’attuale Presidente della Repubblica, colui che (a parte per gli osservatori un po’ più attenti) rappresentava il volto del nuovo progresso in Francia alle elezioni 2017, quadruplicando i consensi dei socialisti e aggiudicandosi il primo turno. In Francia è stato Macron a sconvolgere quel bipartitismo repubblicani-socialisti che in Italia già 5 anni fa era invece stato abbattuto dal Movimento 5 Stelle.

Tuttavia, sono altri due elementi fondamentali, profondamente diversi tra i due fenomeni, che ci aiuteranno a capire perché sarà difficile assistere a un’alba pentastellata in Francia. Ci riferiamo all’impostazione del movimento e alla rete.

Le origini e l’impostazione dei gilet gialli

Tanto per cominciare, le origini. Sul versante francese la nascita del movimento è realmente da attribuire a una coordinazione dal basso, che continua a livello locale (nei département) nell’organizzazione delle azioni. Invece, quello che poi diventerà il Movimento 5 Stelle, già dai suoi primi passi, delineava un progetto a lungo termine che era comunque intenzionato a durare.

Infatti, nonostante gli anni passino e le promesse anti-casta aumentino, la struttura del partito non ha fatto che irrigidirsi nel corso del tempo: da movimento “dal basso” a partito delle espulsioni. Nasce così il codice di comportamento che gli eletti 5 Stelle devono sottoscrivere e, per levare ogni dubbio, viene accompagnato dal cosiddetto “direttorio” del Movimento 5 Stelle. Fondato nel 2014 da Beppe Grillo, il comitato operativo era composto da 5 parlamentari ratificati dal web che avrebbero affiancato il comico genovese nella gestione del partito. Grillo, ovviamente, non poteva salire a Montecitorio. Due dei cinque componenti erano niente di meno che Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista, stelle nascenti del partito.

Diversamente, i gilet gialli sono (ancora) l’espressione di un malessere che rifiuta fermamente intermediazione e intermediari. Sempre che Luigi Di Maio possa ancora essere considerato un tramite dell’elettorato e non un capo di partito. Nessuno rappresenta i gilet gialli se non i gilet gialli, a quanto pare.

Il web non è diventato uno strumento di delega del potere. Anzi: la mossa dei 44 organizzatori del movimento (ovvero: dei diversi gruppi regionali su Facebook), che hanno eletto tra di loro 8 “portavoce” a fine novembre, si è rivelata un flop. Ma non solo. Quando si prospettava l’incontro tra questi auto-designati e il primo ministro Édouard Philip i gilets jaunes sono stati piuttosto chiari. A seguito delle minacce subite dai gilet gialli stessi, soltanto uno degli otto rappresentanti ha partecipato e, da quel giorno, di portavoce non si è più sentito parlare.

Il ruolo della rete nel movimento dei gilet gialli

Nel chiedersi se i gilet gialli saranno il prossimo Movimento 5 Stelle francese, il web viene spesso messo in risalto come elemento in comune tra i due versanti alpini, sebbene l’esempio sia calzante solo in termini generali.

Sul versante italiano abbiamo la piattaforma Rousseau, tramite la quale i pentastellati votano i propri candidati e si esprimono sulle proposte di legge del partito. Tra i gilet gialli non troviamo nessuna gestione centralizzata del web, né una esasperazione dei benefici della rete. Piuttosto, internet viene generalmente usato come il medium più diffuso e immediato per riunirsi sulle strade e alle rotonde.

La rete è democratica? Dipende da chi la gestisce. Di conseguenza, se si fa tutto in famiglia un dubbio è più che lecito. È così che la Casaleggio Associati, società in mano a Davide Casaleggio, figlio del fondatore Gianroberto, fino a pochi giorni fa aveva lo stesso indirizzo di sede legale dell’Associazione Rousseau – coincidenze. Accade però che tramite un’inchiesta del Foglio si viene a conoscenza del ruolo di Davide Casaleggio, uno dei due “Fondatori” di Rousseau blindati per sempre a capo dell’associazione, non elettivi e con un potere decisionale eccezionale. L’altro fondatore? Gianroberto Casaleggio. Dalla diarchia si è tornati alla monarchia, quindi.

Ovviamente la rete è di fondamentale importanza per la politica del M5S, e anche se Davide Casaleggio non eserciterà questa sua prerogativa di controllo in maniera autoritaria, fa comunque sorridere leggere ancora oggi la descrizione che il M5S fornisce di se stesso sul proprio blog, dove il Movimento “Vuole realizzare un efficiente ed efficace scambio di opinioni e confronto democratico al di fuori di legami associativi e partitici e senza la mediazione di organismi direttivi o rappresentativi, riconoscendo alla totalità dei cittadini il ruolo di governo ed indirizzo normalmente attribuito a pochi”.

Paragoni improbabili tra gilet gialli e M5S

Il partito di Di Maio pratica una strategia politica e impiega mezzi del tutto discordanti rispetto alla frase sopra riportata, ed è soprattutto diverso rispetto al movimento francese. Un’altra differenza, questa volta strutturale, è a questo punto chiara: i neoeletti 5 Stelle entrano in Parlamento promettendo cambiamenti, a volte anche radicali, che otterranno in un futuro di governo a patto che gli elettori affidino a loro il proprio voto – dateci fiducia, arriveremo a capo del sistema “marcio” e poi lo cambieremo.

Sull’altro versante una parte del popolo porta direttamente le proprie istanze all’Eliseo, senza chiedere l’aiuto politico di nessuno, né diretto da alcun leader ufficiale o sostenuto da imprenditori più o meno oscuri. Se l’Eliseo non ascolta, la posta in gioco si alza: blocchi stradali più violenti, scontri nelle città. Non è uno schema destinato a durare, con ogni probabilità, ma in un mese e mezzo il movimento dei gilet gialli, a livello di promesse sociali, ha probabilmente ottenuto più che l’opposizione pentastellata in cinque anni.

Per quanto le rispettive posizioni siano inconciliabili, la parabola politica del M5S rischia di abbracciare più la storia d’insuccesso di Macron (le promesse di salvare il popolo e la borghesia oppressa, e la delusione delle stesse) che la rivolta dei gilet gialli. Al momento si può dire che se proprio vogliamo trovare un elemento comune tra il Movimento 5 Stelle e i gilets jaunes, ci dobbiamo accontentare del colore.

Lorenzo Ghione

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