A calcetto giocavo in porta. Facevo schifo, ma quando ero in forma poteva essere veramente difficile farmi gol. Chissà se avessi continuato quanti lavori avrei trovato. Ma non è semplice, con una grossa cicatrice sotto il piede a pulsare di dolore, e comunque non ne avrei fatto un grosso vanto, come invece il ministro Poletti crede che sia.
Perché purtroppo, vedete, c’è un fondo di verità nel dire che si trova più facilmente lavoro giocando a calcetto che inviando curriculum: ed è la triste realtà di un mercato iniquo e inefficiente, che privilegia la raccomandazione al merito, l’accettazione passiva al riconoscimento dei diritti fondamentali.
Una verità che un ministro come Poletti dovrebbe rifiutare e respingere con forza, invece di legittimare supinamente. Purtroppo è difficile attendersi qualcosa di diverso, da un Governo che ha improntato la sua azione politica sulla mercificazione della dignità lavorativa e sullo svilimento di ogni tutela.
Credevano di risolvere ogni problema col Jobs Act, come con una bacchetta magica. Volevano imporre in maniera forzata un modello scandinavo/mitteleuropeo di flessibilità senza un welfare adeguato a far da contrappeso, nell’Italia arrugginita da logiche affaristiche, clientelari, da rendite di potere. Con quali risultati? Dimostrare al mondo intero la propria mediocrità, il loro essere completamente inadeguati e avulsi dalla realtà.
Non saranno due frasette goliardiche buttate lì per goffa incoscienza a risolvere gli squilibri sistemici che assillano un Paese in cui aumentano le fratture sociali e si esasperano i conflitti di classe con provvedimenti miopi ed illogici.
Pensiamo all’alternanza scuola-lavoro. Un processo concepito in fretta e furia, strutturato per far acquisire agli studenti una conoscenza pratica del mondo del lavoro, diventato un gentile omaggio di manodopera gratuita per aziende locali e multinazionali.
Non sono rari i casi di lavoratori licenziati perché progressivamente sostituiti dagli studenti, in mansioni che tra l’altro esulano del tutto dal loro percorso di studi. Qualcuno viene mandato a pulire i bagni, qualcun altro a spillare birra la notte di capodanno, a qualcuno viene addirittura chiesto di pagare, come denunciato dall’Unione degli Studenti.
Il problema sta fondamentalmente qui, signor ministro Poletti. Se anche un percorso formativo diventa la cartavelina dietro cui nascondere lo sfruttamento legalizzato, significa che per l’Italia non c’è più speranza. Provate a chiedere ai ragazzi spediti a lavorare da McDonald’s, se si aspettano che la scuola insegni loro come servire hamburger – con il dovuto rispetto per chi serve hamburger, ma non per chi ne fa occasione di sfruttamento.
È questo lo scenario che ci è stato disegnato intorno: lavoratori che si suicidano per il troppo lavoro, e disoccupati che si suicidano per la mancanza di lavoro. Una responsabilità non solo politica ma soprattutto morale, di cui qualcuno dovrà rispondere dinnanzi al popolo e alla Storia.
Poi, come se non bastasse, personaggi mediocri a illuminarci con le loro preziose perle di saggezza. Le infelici uscite di Poletti, che altri non è che l’emblema di una classe politica improvvisata e priva di identità, sono l’ultimo tassello di un mosaico di offese e umiliazioni inflitte a una generazione già mortificata dalla vita.
Dai “bamboccioni” di Padoa Schioppa ai “choosy” di Elsa Fornero ne abbiamo sentite davvero tante. Parole colme di sdegno, pronunciate da chi non ha mai avuto il dilemma di mettere un piatto in tavola, con l’aggravante di rappresentare la nazione davanti agli occhi compiaciuti di padroni in cerca di carne fresca per i loro profitti. Un richiamo neppure troppo velato a “La Fattoria degli Animali” di Orwell, in cui porci ed umani banchettavano assieme al punto da non essere più distinguibili fra di loro.
Un disegno spregevole di sottomissione ai dogmi liberisti che si palesa nei continui attacchi ad una classe lavoratrice sfregiata e precarizzata, per rendere tutti ingranaggi del meccanismo capitalista.
Allora a che serve studiare? Tanto non occorre mica la laurea per diventare ministro. E neppure il buonsenso, a quanto pare. Piuttosto, ministro Poletti, giochiamocela a calcetto: chi vince si prende il dicastero, chi perde va a fare il precario sottopagato. Se la sente?
Emanuele Tanzilli
@EmaTanzilli
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