Ai morti dell’Undici Settembre,
ai miei genitori Edoardo e Tosca Fallaci
che mi insegnarono a dire la verità,
e a mio zio Bruno Fallaci
che mi insegnò a scriverla.
Dire e scrivere la verità, in onore dei morti, con furia verso i vivi, è il proposito che si evince sin dalla dedica d’apertura, è il motivo per cui Oriana Fallaci scelse di dar vita a La Rabbia e l’orgoglio.
I recenti atti di terrorismo di matrice jihadista, oltre alla paura e alla diffidenza e all’ira, hanno scatenato in molti il bisogno di capirlo, questo fenomeno, di capire cosa stesse accadendo e perché. Assieme a illustri scritti e ragionate analisi, il popolo ha riesumato da un passato di silenzio quella giornalista invisa a troppi che ebbe l’ardire di esprimere la propria opinione in merito, e farlo senza fronzoli – l’opinione è stata presto tramutata in “predizione”, il senza fronzoli in “attacco razzista”.
Guardando al passato più recente, sono stati gli attentati in Germania a far tornare in voga l’Oriana Fallaci de La Rabbia e l’Orgoglio, quell’Oriana arrabbiata, orgogliosa, sofferente e, oggi come allora, incompresa.
L’opera discussa, contrariamente a quanto in genere si evince, non tratta unicamente la jihad, ma analizza vari aspetti di un mondo che si considera in decadenza: l’attentato dell’11 settembre 2001 e le emozioni a esso legato, la jihad, la condizione delle donne in Medio Oriente, l’organizzazione politica nei paesi islamici, ricordi dell’autrice legati alla Resistenza e alla professione di giornalista e inviata di guerra, la politica italiana, la politica europea, gli Stati Uniti, la questione dell’immigrazione e i motivi per cui l’Italia non può essere l’America del passato, la cultura italiana ed europea, l’importanza del Passato.
È necessario premettere sinteticamente che La Rabbia e l’Orgoglio non osanna il razzismo e non auspica che un partito politico xenofobo e nazionalista governi una qualsiasi nazione. Al contrario, denuncia la necessità che viga rispetto tra le culture e il bisogno che una nazione sia guidata da politici onesti, che amino e difendano la propria terra. Oriana Fallaci dedica, inoltre, ampio spazio alla differenza tra quelle che definisce «La mia Italia», «La mia Europa» e le loro controparti reali, a detta dell’autrice corrotte.
Partiamo dal secondo punto, ossia dall’accusa di essere fascista, e dunque d’inneggiare con questo libro a quei movimenti politici che si richiamano alle “camicie nere” o a delle realtà recenti che, pur non ascrivendosi al fascismo, operano una campagna ai danni dell’unità e a favore di diffidenza e xenofobia:
«Naturalmente la mia patria, la mia Italia, non è l’Italia d’oggi. […] L’Italia opportunista, doppiogiochista, imbelle, dei partiti corrotti e incapaci che non sanno né vincere né perdere però sanno come incollare i grassi posteriori dei loro rappresentanti alla poltroncina di deputato o di sindaco o di ministro. L’Italia ancora mussolinesca dei fascisti neri e rossi che ti inducono ad adottare la tremenda battuta di Ennio Flaiano: “In Italia i fascisti si dividono in due categorie: i fascisti e gli antifascisti. […] L’Italia, ad esempio, degli ex-comunisti che […] mi hanno offeso con la loro prepotenza, la loro boria, la loro presunzione, il loro terrorismo intellettuale, la loro abitudine di schernire e denigrare chi la pensa in modo diverso da loro. […] L’Italia dei preti rossi […] che caduto il Muro di Berlino cambiarono tono. […] Non è nemmeno l’Italia dei loro avversari, sia chiaro. […] Le camicie verdi del mi-sun-lumbard che non sa neanche quali sono i colori del tricolore, e i nipotini di quelli che portavano la camicia nera. Loro dicono di non essere più fascisti e chissà: forse è vero. Ma io non mi fido di chi venendo dal partito comunista dice di non essere più comunista, quindi figuriamoci se mi fido di chi venendo da un partito neo-fascista dice di non essere più fascista.»
Le parole di Oriana Fallaci sono chiare: l’Italia di nessun partito è la sua Italia. Le pagine dedicate a questo aspetto passano in rassegna i partiti e alcuni leader dell’epoca, ritratti in maniera per nulla lusinghiera. L’analisi si estende poi all’Europa, che l’autrice descrive in balia della corruzione e incapace di tutelare i propri cittadini.
Arriviamo ora al primo punto, quello più criticato e osannato e strumentalizzato: l’accusa di razzismo. Oriana Fallaci la guerrafondaia, quella che condanna l’Islam e che non capisce l’importanza dell’integrazione tra culture. Quanto c’è di vero in queste accuse e quanto di falso?
Di vero c’è che Oriana Fallaci non era una simpatizzante della religione islamica e che, in questo testo soprattutto, accusa i «figli di Allah» – come usa definirli – di essere nemici dell’Occidente e del mondo intero, nemici in sostanza di chiunque non appartenga alla loro religione e viva secondo leggi “laiche”.
La rabbia che l’autrice vomita in queste pagine è figlia di esperienze vissute in prima persona. Esperienze che l’hanno formata e condizionata e che l’hanno costretta a interpretare un fenomeno come il terrorismo di matrice jihadista – ossia di matrice religiosa – quale minaccia per tutti:
«Intimiditi come siete dalla paura d’andar contro corrente oppure d’apparire razzisti, (parola oltretutto impropria perché il discorso non è su una razza, è su una religione), non capite o non volete capire che qui è in atto una Crociata all’Inverso. […] Una guerra […] che certamente mira alla conquista delle nostre anime: alla scomparsa della nostra libertà e della nostra civiltà, all’annientamento del nostro modo di vivere e di morire, del nostro modo di pregare o non pregare, del nostro modo di mangiare e bere e vestirci e divertirci e informarci… Non capite o non volete capire che se non ci si oppone, se non ci si difende, se non si combatte, la Jihad vincerà. […] Non vi rendete conto che gli Osama Bin Laden si ritengono autorizzati a uccidere voi e i vostri bambini perché bevete il vino o la birra, perché non portate la barba lunga o il chador anzi il burkah, perché andate al teatro e al cinema, […] perché scopate quando vi pare e dove vi pare e con chi vi pare?»
«Una guerra – dice – che mira certamente alla conquista delle nostre anime», non un corpo, non una terra, ma l’anima, dunque tutto ciò che siamo. La domanda giusta da porsi non è se Oriana Fallaci sia o meno folle/razzista/oracolo, ma perché affermi che «certamente» la jihad abbia un tale fine.
La risposta è nel suo passato: inviata di guerra, ha conosciuto e vissuto il Medio Oriente, i costumi, le usanze, i dolori. Ha patito la colpa di essere una donna italiana non islamica e ha assistito alla soppressione dei diritti umani e della libertà in nome di una religione. Di questo insieme la Fallaci non fa mistero, né in generale, né ne La Rabbia e l’Orgoglio.
«[…] Non ne tiene conto nessuno del fatto che tutti i paesi islamici, tutti, sono retti da un feroce regime teocratico? […] Caro mio, quella è gente che il concetto di libertà non lo capisce anzi non lo conosce nemmeno. Le parole “laico” e “laicismo”, lo stesso. […] Può tale cultura inserirsi nella nostra, innestare nella nostra le sue barbare leggi? E se può, ti chiedo: allora perché abbiamo combattuto Hitler e Mussolini, Stalin e i suoi compari? […] Le tirannie islamiche sono forse più rispettabili, più ammissibili, più perdonabili, di quelle fasciste o naziste o comuniste? […] I principii della democrazia, del progresso, della libertà, sono forse validi soltanto quando ci opponiamo ai despoti dell’Occidente?»
Quest’ultima citazione, benché breve, è forse utile a chiarire un altro tipo di dubbio, quello più spinoso: Oriana Fallaci ritiene responsabili tutti i mussulmani, perché?
Generalmente, è qui che si rafforza l’accusa di razzismo. Dopotutto, non tutti i mussulmani sono terroristi e non tutti prendono parte alla jihad. Tuttavia, secondo il punto di vista dell’autrice, tutti o quasi tutti i mussulmani sono condizionati dalla religione – che si ritiene esclusiva e che, diversamente dal Cristianesimo odierno, non educa al rispetto e alla convivenza con le altre culture e religioni. Per motivare tale certezza, la Fallaci ricorre ancora una volta a quelle esperienze che l’hanno costretta a convincersi che non è possibile interagire e integrarsi con chi non ci rispetta, non ci comprende e non è interessato a farlo.
Il rispetto: rispetto per la cultura, la libertà, la democrazia, i diritti umani. Ecco il vero fulcro de La Rabbia e l’Orgoglio: senza rispetto reciproco non può esistere nulla che non sia il difendersi da chi, eleggendo nemico il diverso da sé, combatte al fine di prevaricare.
«Sono stata educata nel concetto di libertà, io, e la mia mamma diceva: “Il mondo è bello perché è vario”. Ma se pretendono d’imporre le stesse cose a me, a casa mia… Lo pretendono. Osama Bin Laden afferma che l’intero pianeta Terra deve diventar mussulmano, che dobbiamo in massa convertirci all’Islam, che con le buone o con le cattive lui ci convertirà, che a tal scopo ci massacra e continuerà a massacrarci. E questo non può piacere né a me né a voi, ipocriti difensori dell’Islam.»
E ciò che dice di temere con tutte le sue forze è:
«L’attacco ai monumenti antichi, alle opere d’arte, ai tesori della nostra Storia e della nostra cultura. […] Sono toscana quindi penso ancor di più alla Torre di Pisa […] e al Ponte Vecchio che oltretutto è l’unico antico ponte rimasto perché il Ponte a Santa Trinità è ricostruito. Il nonno di Bin Laden ossia Hitler me lo fece saltare in aria nel 1944. […] Penso anche alla Galleria dell’Accademia dove c’è il David di Michelangelo. (Scandalosamente nudo, mioddio, cioè particolarmente inviso ai seguaci del Corano.»
Perché le opere d’arte, afferma, rappresentano il nostro Passato, che ci definisce e ci consente di comprendere il Presente e di influenzare il Futuro. Senza quel Passato non esistiamo – non siamo nulla, non siamo l’Occidente, non siamo l’Europa, non siamo l’Italia.
In riferimento all’attacco ai monumenti antichi e dunque alla Storia, Oriana Fallaci sfrutta la breve narrazione dell’intervista al Dalai Lama nel 1968 per citare la distruzione ad opera dei talebani dei Buddha di Bamiyan come esempio di intolleranza.
«Io, quando mi trovo nei loro paesi […], non dimentico mai d’essere un’ospite e una straniera. […] Li tratto con doveroso rispetto, doverosa cortesia, mi scuso se per sbadatezza o ignoranza infrango qualche loro regola o superstizione. […] pretendono sempre più moschee, loro che nei propri paesi non fanno costruire neanche una chiesetta e che appena possibile ammazzano le monache e i missionari. E guai se il cittadino protesta. Guai se gli risponde quei-diritti-vai-ad-esercitarli-a-casa-tua. […] “Razzista, razzista!”. […] E la gente tace rassegnata, intimidita, ricattata dalle parole “xenofobo, reazionario, razzista”. Non apre bocca nemmeno se gli gridi ciò che mio padre urlava durante il fascismo: “Ma non ve ne importa nulla della dignità, pecoroni? Non ce l’avete un po’ d’amore proprio, conigli?”.»
Si arriva quindi al problema dell’immigrazione. Oriana Fallaci ha spronato a chiudere le porte a tutti? Ha dato del terrorista a ogni uomo, donna, bambino che, clandestino o meno, è approdato sulle nostre coste? Ma quell’Oriana, quella lì, non ricorda quando eravamo noi italiani a emigrare? L’America che accoglie tutti, l’ha dimenticata?
«Le SS e le Camicie Nere dei Bin Laden, invece, gli italiani anzi gli europei ce l’hanno in casa. Protette, di solito, dal cinismo o dall’opportunismo o dalla cretineria di chi ce le presenta come stinchi di santo. Poverini-poverini, guarda-che-pena-fanno-quando-sbarcano-dai-gommoni. Razzista-razzista, tu-che-non-li-puoi-soffrire. Bè: come già sostenevo nell’articolo apparso sul giornale, le moschee che in Italia sbocciano all’ombra d’un dimenticato laicismo e d’un risorto bacchettonismo pullulano fino alla nausea di terroristi o aspiranti terroristi. Non a caso, con l’aiuto di Scotland Yard, dopo la strage di New York qualcuno l’hanno arrestato. […] Si rivela che i terroristi peggiori sono spesso muniti di passaporto regolarmente rinnovato, carta d’identità, permesso di soggiorno.»
L’estratto riportato spiega il pensiero dell’autrice, che non sprona per amor di razzismo a chiudere le frontiere, ma esige che vi siano controlli e sia garantita la sicurezza ai cittadini. A suo dire, l’immigrazione è un’arma degli Osama Bin Laden per consentire alle cellule jihadiste di circolare liberamente e di operare processi di radicalizzazione o progettare attentati. In più, contesta a coloro che abitano da immigrati l’Italia o qualsiasi altra nazione di pretendere che sia l’ospitante ad adeguarsi ai loro usi e costumi e non viceversa – «Che senso ha rispettare chi non rispetta noi? Che senso ha difendere la loro cultura o presunta cultura quando essi disprezzano la nostra? Io voglio difendere la nostra.» scrive, ribadendo per l’ennesima volta il concetto di rispetto e difesa dell’identità.
Ma la difesa della propria identità si apre presto alla difesa di un’identità collettiva, che non è europea o semplicemente occidentale, ma si rispecchia in Libertà e Giustizia, valori che le impedivano di assistere alle ingiustizie e tacere, che riuscivano a farle accantonare la guerra di religione e l’idea che tutti i mussulmani fossero carnefici:
«[…] ridere. (Sissignori: ridere. Ho detto ridere. Non lo sapevate che nell’Afghanistan dei Talebani le donne non possono ridere, che gli è proibito perfino ridere?). […] Rammento e capisco che le tre donne al mercato sono state uccise perché erano andate dal parrucchiere. Capisco insomma che si trattava di tre combattenti, di tre eroine, e dimmi: è questa la cultura cui alludi quando parli solo di contrasto fra le due culture?!? Eh, no, caro mio: no. Distratta dal mio amore per la Libertà ho incominciato il discorso affermando che al mondo c’è posto per tutti e mia madre diceva il-mondo-è-bello-perché-è-vario. Che se alcune donne sono così sceme da accettare certe infamie, peggio per loro: l’importante-è-che-certe-infamie-non-vengano-imposte-a-me. Ma ho detto una cosa ingiusta. Perché a far quel ragionamento ho dimenticato che la Libertà scissa dalla Giustizia è una mezza libertà, che difendere la propria libertà e basta è un’offesa alla Giustizia. E implorando il perdono delle tre eroine, di tutte le donne giustiziate seviziate umiliate o sviate dai figli di Allah, sviate al punto di unirsi al corteo che calpestava i morti dello stadio di Dacca, dichiaro che la faccenda mi riguarda eccome. Ci riguarda tutti, signori o signore Cicale […]»
Riguarda tutti, persino le Cicale – «[…] le Cicale sono invariabilmente persone senza idee e senza qualità, frivole sanguisughe che per esibirsi s’attaccano all’ombra di chi sta al sole, e quando friniscono sui giornali sono mortalmente noiose.» –, perché nessuno può sottrarsi a quella che per Oriana Fallaci era la vera emergenza umanitaria, ossia popoli interi privi di libertà, giustizia, democrazia, laicismo, tutti valori che nel bene e nel male caratterizzano l’Occidente odierno, quell’Occidente che l’autrice afferma di voler difendere con le unghie e con i denti – dopotutto, quando da ragazzina rischi la vita lottando al fianco dei partigiani per rovesciare il regime di Mussolini, non puoi da adulta tollerare qualcosa o qualcuno che voglia portartela via, quella libertà conquistata.
La Oriana Fallaci de La Rabbia e l’Orgoglio è l’Oriana che ha vissuto in prima persona la guerra, la persecuzione e la repressione dei diritti: orgogliosa di vivere secondo Libertà e Giustizia, arrabbiata all’idea di poterle perdere entrambe – per loro, afferma, è giusto combattere e non aver timore di rivendicare il diritto e il dovere di difendere la propria identità; per loro, ribadisce, è necessario esigere rispetto, senza il quale non può esserci né dialogo né integrazione, ma solo prevaricazione di una identità a scapito di altre.
Rosa Ciglio