Incivili, maleducati, non curanti della cosa pubblica: i migranti nel nostro paese vengono spesso così descritti da una certa parte della popolazione e una certa stampa cultrice del “primato italiano”. È interessante notare, però, che simili epiteti sono stati utilizzati negli anni in varie declinazioni per descrivere lo stesso popolo italiano, da sempre considerato il fanalino di coda in Europa in quanto a “civicness“, ovvero “senso civico”.
Quando uscì nel 1993 per i tipi di Mondadori, la ricerca “Making Democracy Work: Civic Tradition in Modern Italy” fece scalpore. Il suo autore, Robert Putnam, politologo statunitense agli albori della sua brillante carriera, spiegava con un concetto allora innovativo il divario di modernizzazione tra nord e sud del nostro paese: venti anni di raccolta dati testimoniavano che i capitali monetari affluiti nelle due zone avevano avuto un ruolo meno incisivo di quanto si potesse pensare, e che la grande differenza la faceva il “capitale sociale”, ovvero il senso civico che si era sviluppato diversamente nelle due aree.
Per descrivere il tipico comportamento del centro-sud Italia si rifece poi al concetto di “familismo amorale”, elaborato dal sociologo Edward Banfield in occasione di una ricerca in Basilicata condotta negli anni cinquanta, così definito dal suo creatore:
«Massimizzare unicamente i vantaggi materiali di breve termine della propria famiglia nucleare, supponendo che tutti gli altri si comportino allo stesso modo.»
L’Osservatorio nazionale IPSOS – Comieco sul senso civico, nella sua elaborazione del 2017, ha inoltre confermato la tendenza degli italiani (del nord, del centro e del sud) a tutelare unicamente gli affetti più cari, mostrando invece diffidenza verso l’altro e verso le istituzioni: Nando Pagnoncelli ha ribattezzato questo comportamento come “senso civico fai-da-te”.
Eppure, da quando le ondate migratorie verso il nostro paese sono divenute più consistenti, tutta questa teoria politica sul menomato senso civico degli italiani sta velocemente perdendo ogni aggancio empirico.
Sembra che gli storici sforzi della classe dirigente italiana per “civilizzare” il nostro paese siano andati a buon fine, trasformando nel tempo una massa amorfa di contadini analfabeti in accorati protettori del bene pubblico, pronti a catechizzare secondo sani principi gli ineducati migranti che in Italia scorrazzano sporchi e baldanzosi come povere bestie.
Sulla linea Milano-Lodi, circa una settimana fa, la catechizzazione veniva ripresa da un telefonino: sul suo posto in carrozza una benpensante dalla pelle bianca inorridiva di fronte al mancato pagamento del biglietto da parte di due migranti, e indignata per tale affronto al servizio ferroviario italico, scattava in piedi urlando all’indirizzo dei criminali africani: «Questa è l’Italia, noi paghiamo per voi! Siete degli infami! Il controllore sta facendo il suo lavoro mentre voi non state facendo niente per rispettare l’Italia!». E dopo la risposta di uno di questi, che invitava la donna a stare zitta, la civile italica inorridiva nuovamente per quest’altra mancanza di rispetto, pensando che la risposta fosse la prova evidente di un’abitudine a maltrattare l’intera popolazione femminile, e che questa usanza avesse chiare origini africane. Apostrofava dunque come “bestie” i criminali, asserendo che se i due, come loro stessi dicevano, erano sprovvisti dei soldi necessari a pagare il biglietto, certamente avrebbero fatto meglio a munirsi di un cammello, una soluzione coerente d’altronde ai loro costumi.
Sempre a Milano, un anno prima, un controllore della metropolitana, oltre a prendere i necessari provvedimenti legali contro un migrante reo di non aver pagato il servizio, si sentì in dovere di urlare in faccia al criminale più e più volte: «Sei una merda! Merda! Vedi che non rispondi? Sei una merda!», mostrando un certo gusto nell’essere ripreso da un telefonino, al quale mostrava il biglietto già timbrato dell’africano.
Situazioni differenti invece quelle che si sono verificate a Roma nell’ultimo anno: a cambiare non sono certamente le singole scene riprese dai principali quotidiani romani (parliamo sempre di bianchi che sgridano, picchiano, minacciano neri), ma piuttosto la “sceneggiatura” di fondo.
Da qualche tempo infatti alcuni cittadini italiani di origini africane sono arrivati in testa alle liste d’attesa per l’assegnazione di case popolari nella capitale, ma al momento dell’insediamento nella casa che gli spetta di diritto (in quanto cittadini italiani, e non in quanto immigrati) si sono verificate frequenti proteste da parte degli abitanti bianchi della zona, convinti che nessun “negro” dovesse “togliere” una casa a un italiano.
È successo a San Basilio, a Tor Bella Monaca, e per ultimo al Trullo, dove alle proteste degli italiani sfrattati (una coppia di occupanti) si sono aggiunte quelle di varie organizzazioni di estrema destra, fra le quali CasaPound.
Sorvolando sull’evidente pregiudizio razzista che si è abbattuto sui malcapitati stranieri in ciascuna di queste situazioni, è bene notare che le storie citate sono testimonianze fondamentali dell‘importanza che l’ingresso di individui extra-comunitari sul nostro suolo nazionale potrà avere per la vita pubblica del paese, e non stiamo parlando della vecchia solfa delle pensioni pagate dai migranti. La questione è ben più rilevante: nel caso delle offese su trasporti pubblici bisogna notare che i migranti quasi quotidianamente fanno sì che gli italiani, battendosi sul petto, riscoprano il piacere di supportare un’azienda pubblica pagando il biglietto, mentre nel caso delle violenze operate nelle case popolari, se il Comune mostrerà risolutezza nel proteggere le vittime, è lecito supporre che gli occupanti riscopriranno la concretezza delle liste d’attesa, affidandosi completamente all’azione statale.
L’opposizione con i migranti (che non significa “contrasto violento”, ma riconoscimento reciproco) sembra insomma potenzialmente foriera di capitale sociale, per dirla alla Putnam. Gli italiani, confrontandosi con un gruppo sociale avulso dal proprio sistema, potranno comprendere in parte le semplificazioni che derivano dall’affidarsi al sistema stesso, con convinzione, supportandolo.
Valerio Santori
(twitter: @santo_santori)