Si accendono le proteste in Marocco. Coloratissime bandiere berbere, migliaia di persone e cortei in marcia sono le prime immagini che circolano sui social network. L’evento scatenante è stata la morte di un pescivendolo berbero, finito schiacciato in un camion dell’immondizia dopo una lite con le forze di polizia.

Tutto è successo lo scorso venerdì 28 ottobre. Mouhcine Fikri, pescatore di  31 anni, stava vendendo la sua merce ad al-Hoseyma, cittadina portuale a nord del Marocco, nella regione berbera del Rif. Si trattava in particolar modo di una partita di pesce spada, la cui pesca è bandita in Marocco in questo periodo dell’anno. Mouhcine discute con la polizia, che sequestra la merce e la butta nel camion della spazzatura. A questo punto, il giovane berbero, disperato, si lancia anch’egli nel compattatore, cercando di salvare il possibile, ma finisce per rimanere ucciso.

Ma c’è anche chi dice che il vero motivo della lite sia un altro. «Notizie attendibili confermano che il poliziotto si è arrabbiato molto con Mouhcine e ha ordinato di tritarlo vivo perché si è rifiutato di dare una specie di pizzo al capo della polizia», afferma un attivista berbero membro dell’Associazione Culturale Berbera di Milano. A quanto pare, la pratica dei poliziotti di chiedere una sorta di pizzo alla gente comune è molto comune in Marocco. L’informazione è confermata anche dal presidente dell’Assemblea Mondiale Berbera, il professore Rachid Raha, e da molte testate marocchine. E in effetti non è il primo caso di quest’anno.

«La morte di Mouhcine è una tragedia» racconta ancora il giovane attivista berbero, «Mouhcine è il secondo martire del popolo berbero in questo anno, già a gennaio un giovane berbero della regione di Tinghir è stato ucciso da panarabisti fanatici, nemici della giustizia e libertà. I berberi piangono ancora per la morte di Omar Khaleq e la polizia ha dato l’ordine di uccidere un altro berbero».

Neanche la dinamica della morte stessa è ben chiara. Secondo alcuni, infatti, si tratterebbe di una morte accidentale, eppure istigata dalla polizia stessa che avrebbe incitato l’autista del camion a non fermarsi; altri ancora, assecondando un video che sta girando sui social network, parlano di omicidio volontario nei confronti del giovane Mouhcine, che sarebbe stato spinto all’interno del camion. Di certo, al momento, c’è solo l’autopsia, che conferma la tragica morte per emorragia toracica.

Intanto, il re Mohammed VI, in vacanza a Zanzibar, ha ordinato al Ministro degli Interni Mohammed Hassad di visitare la famiglia di Mouhcine Fikri e di avviare un’indagine che individui i responsabili, nonostante la Direzione Generale per la sicurezza nazionale abbia già comunicato che le forze di sicurezza non sono implicate nell’incidente.

Nelle città marocchine, invece, scoppiano le proteste.

Al-Hoseyma, luogo da cui è partito tutto, si è mobilitata immediatamente, a partire dagli imponenti funerali del giovane Mouhcine. Ma anche Casablanca, Marrakech e la capitale, Rabat, hanno visto sfilare i propri cittadini al grido di “Siamo tutti Mouhcine!” e “Tutti ci sentiamo schiacciati da quel camion della spazzatura!”, come riportato dalla BBC. Proprio l’endemicità e la diffusione delle proteste in tutto il Marocco fanno pensare ad un malessere diffuso, che non può essere ristretto a proteste localistiche delle comunità berbere di al-Hoseyma. Sugli striscioni e nei social campeggiano le scritte contro il “makhzen”, che indica il sistema politico ed economico marocchino, e l’hogra, ovvero l’abuso di potere delle autorità e della polizia in particolare.

Le manifestazioni, così dirompenti e intense, sono state paragonate alle Primavere arabe e non poche sono le persone che, sui social, hanno equiparato la figura di Mouhcine Fikri a quella di Mohamed Bouazizi, che nel 2011 si era dato fuoco in segno di protesta contro il suo paese, la Tunisia, ed era così assurto a simbolo dei ribelli del Nord Africa.

In effetti, l’episodio sembra proprio essere la scintilla che ha generato un malcontento legato a dinamiche più ampie ed accade proprio a ridosso della COP22, la conferenza dell’ONU sul cambiamento climatico che si svolgerà a Marrakech fra il 7 e il 18 novembre, e poche settimane dopo le elezioni marocchine, che hanno registrato un tasso di astensione del 43%. «L’Assemblea Mondiale Berbera, associazioni culturali berbere e molti militanti berberi» continua l’attivista, «avevano già programmato di organizzare delle manifestazioni per rivendicare i diritti del popolo berbero nei giorni della COP22 nella città di Marrakech».

In un corteo a Rabat, ad esempio, una ragazza regge un cartello che recita: «Benvenuti alla COP22, noi qui maciniamo persone». Per molti, poi, i cortei sono contro la corruzione e i soprusi del governo: «Il popolo ne ha abbastanza, e noi non staremo più in silenzio», ha affermato Abdellah Lefnatsa, leader sindacale, di fronte al Parlamento. Una domanda risalta su tutte: «Dove sono i nostri diritti umani?».

Elisabetta Elia

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