Quando ci apprestiamo a parlare di partiti politici e, necessariamente, della loro continuazione nel panorama europeo non possiamo non parlare di Simone Weil. Questo suo piccolo manifesto, questa sua esternazione di un disagio collettivo, venne pubblicato postumo nel 1950 ed ebbe un impatto significativo sulla vita pubblica e politica francese.
Simone Weil era una donna che aveva anticipato i tempi; dopo la laurea in filosofia si era dedicata a capire da vicino l’ambito lavorativo in cui si immetteva l’operaio, per poter parlare la sua lingua. Quella stessa espressione popolare che Simone Weil cercherà di portare nel suo Manifesto per la soppressione dei partiti politici.
Ci troviamo innanzi alla disarmante presa di coscienza di come la fiducia nel sistema dei partiti, con chiaro riferimento alla situazione europea, abbia iniziato ad incrinarsi sin dalla fine degli anni ’40, nel momento in cui invece dovevano essere la forza trainante della vita politica e pubblica.
Perché i partiti politici non possono continuare ad essere il fulcro portante della vita politica? Perché, ad oggi, la fiducia nei loro confronti sta man mano diminuendo?
Partendo dalla definizione data dalla stessa autrice in cui si definiscono i partiti politici come: «un meraviglioso meccanismo in virtù del quale, in tutta l’estensione di un paese, non uno spirito dedica la sua attenzione allo sforzo di discernere, negli affari pubblici, il bene, la giustizia, la verità.»
Le risposte, non sono mai state di facile lettura e interiorizzazione. Quando si parla di politica e di partiti politici, non possiamo fare a meno di considerare il fatto che questi stessi oggetti siano guidati da esseri umani, da cittadini che prendono delle scelte in base alla loro moralità, al loro modo di essere e per le esperienze che sono riusciti ad accumulare durante il corso della propria vita.
Il punto centrale nel discorso di Simone Weil è stato proprio quello di non mettere più al centro il partito, quella macchina che distrugge il desiderio, per rimettere al centro l’unica macchina in vero desiderante, citando Deleuze.
Simone è stata la prima a cercare di avvisarci, sotto l’ombra spettrale di un partito stalinista in Russia, che l’omologazione dietro un’unica bandiera e un grande partito che avrebbe potuto accoglierci tutti, non sarebbe stata la soluzione ai problemi politici di un paese: sarebbe stata solo la rovina di essi. L’omologazione, per definizione, rinnega qualsiasi tipo di pensiero critico che vada al di fuori della propria linea di pensiero, proprio come funzione un partito. Chi non la pensa allo stesso modo, può cercare un altro partito in cui poter gettare le basi della propria proliferazione. Guardando da lontano mentre la nave va a fondo.
È possibile concepire la politica senza partiti? Senza organi di riferimento cui la gente possa affidarsi? Certamente non è facile. Certamente, non sarà il risultato di una rivolta armata che porterà a concepire questo difficile cambiamento. Come ripete Simone Weil nel suo Manifesto:
«ciò non potrà che essere il risultato di un’impresa, abbastanza lunga, di disinganno collettivo».
Non c’è bisogno di andare ad urlare in piazza, non c’è bisogno di tirar via gli striscioni e di trovare dei responsabili da incolpare. C’è solo il necessario bisogno di ritornare ad essere coscienti dei propri sogni, coscienti del fatto che questo mondo è composto solo da uomini e donne che condividono uno spazio di vita troppo breve e ricoprono un ruolo troppo importante nella democrazia europea. Nessuno può e deve ritenersi omologabile. Nessuno deve convincersi di essere inutile, di non aver alcun peso.
Il grande merito di Simone Weil non è stato soltanto quello di portare alla luce un problema così attuale, ma soprattutto quello di cercare di far riprendere coscienza di sé alla popolazione, di cercare di dargli una speranza.
La speranza che i partiti politici potessero scomparire, nella visione ambrata di un futuro in cui l’uomo non ha più bisogno di pastori e potrà vagare finalmente libero.
Niccolò Inturrisi