Elena suicidio assistito
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«Ho deciso di valutare la possibilità di terminare io la mia vita prima che lo facesse in maniera più dolorosa la malattia stessa». In un video dell’associazione Luca Coscioni Elena, una donna di 69 anni originaria del Veneto, racconta la sua storia poco prima di morire, il 2 agosto, accedendo al suicidio assistito in una clinica di Basilea, in Svizzera.

A luglio 2021 le era stato diagnosticato un microcitoma polmonare, tumore noto per la rapidità della crescita che porta alla diffusione di metastasi anche in altri organi. «Già dall’inizio i medici avevano detto che avrei avuto poche possibilità di uscirne, ma anche se le possibilità erano poche ho ritenuto che valesse la pena tentare». Il tentativo non è però andato a buon fine: non ci sono stati miglioramenti. «Mi è stato detto che per me c’erano pochi mesi di sopravvivenza, e mi è stata descritta una situazione che sarebbe diventata via via sempre più pesante», ha dichiarato Elena.

Visto il quadro descritto dai medici come irreversibile e «dopo averci pensato parecchio», Elena si rivolge all’associazione Coscioni, con cui aveva contatti anche prima della malattia, per ricevere assistenza. Il 1° agosto la donna è stata accompagnata in Svizzera da Marco Cappato, senza coinvolgere i familiari: «Non volevo che i miei cari potessero avere delle ripercussioni legali». La donna ribadisce di aver agito senza essere stata costretta: ha liberamente scelto di porre fine alla propria vita. «Ho dovuto scegliere – dice – se trovandomi davanti a un bivio volevo percorrere una strada più lunga, ma portava all’inferno, o se invece volevo scegliere una strada più breve che mi avrebbe portato qui, a Basilea. Io ho scelto questa seconda opzione». Stando a quanto risulta della consulenza dell’associazione Coscioni che ha ritenuto il caso della donna idoneo all’accesso al suicidio assistito, «Un’attesa ulteriore avrebbe potuto determinare ulteriori sofferenze e peggioramenti vista la progressione della malattia già in fase avanzata».

L’associazione ha deciso di alzare ulteriormente l’asticella della disobbedienza civile. La storia di Elena è infatti particolare, perché fuoriesce dai confini fissati dalla sentenza della corte Costituzionale del 2019 sul caso dj Fabo, che aveva portato all’assoluzione di Marco Cappato. La Consulta, nel silenzio di una legge sul fine vita che continua a non esserci, aveva chiarito la necessità che la persona «sia tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale». Ma Elena non dipendeva da un macchinario per sopravvivere e, fino al momento della morte, è stata curata con il cortisone. Una condizione, questa, che stavolta potrebbe portare il tesoriere dell’associazione Coscioni a una condanna per aiuto al suicidio. Questa mattina, Cappato andrà ad auto denunciarsi in una stazione dei carabinieri di Milano.

Nonostante il “benaltrismo” acuito dalla campagna elettorale agostana, si continua a morire liberamente. Ma solo disobbedendo.

Raffaella Tallarico

Calabrese per nascita e formazione. Mi sono laureata in Giurisprudenza e scrivo di confusione politica e sociale, italiana ed internazionale.

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