Il brainch della domenica: Dov’eravamo rimasti

 

Cari lettori,
l’estate sta finendo, le vacanze terminano tra gli ultimi sbuffi di malinconia e qualche foto postuma da pubblicare su instagram, e settembre, che è il mese in cui i buoni propositi vengono distrutti a picconate dalla realtà, ci ha già accolti con abbondanti piogge, le prime dopo mesi, quasi a voler mettere bene in chiaro la situazione: levatevi gli ombrelloni dalla testa e gli ombrellini dai cocktail, da adesso in poi si usano soltanto gli ombrelli.

Riprendere il filo dei pensieri dopo un’estate estenuante, calda e faticosa, non è mai cosa semplice. Sembra di accalcare tutto assieme, come ad aprire un vecchio ripostiglio lasciato impolverare, e ritrovarsi seppelliti da una valanga di oggetti accatastati alla rinfusa in attesa di tempi migliori. Tempi che non arrivano mai.

Il Brainch della domenica
Illustrazione a cura di Antonella Monticelli

A proposito: le temperature di questa stagione sono state superiori di circa 1,5 gradi rispetto alla media. Una divergenza che sarebbe agghiacciante se non fosse asfissiante, e che conferma il 2017 come uno degli anni più caldi di sempre. Immaginare che ci sia al mondo chi si ostina a negare gli effetti del cambiamento climatico e del surriscaldamento globale, a questo punto, non è più una nota di folklore: è un’emergenza gravissima che va palesata e combattuta con ogni mezzo lecito e illecito. Quest’anno Frosinone era più calda di Doha in Qatar e non possiamo consentire che siano i deliri patinati di vecchi tromboni che bevono petrolio e respirano aria condizionata a influenzare le nostre politiche energetiche.

Non soltanto: estate, come sappiamo, fa rima con terre bruciate, e questa non ha fatto eccezioni. Dalla Sicilia all’Abruzzo, dalla Toscana alla Campania, martoriata da feroci ghigni rossi simili a cicatrici cauterizzate dal fuoco lungo le pendici del Vesuvio, sulle coste cilentane, nell’entroterra. Una catastrofe che si avviluppa e rinforza della tossicità di quelle aree, gravide di rifiuti abusivi sversati nella pancia della terra infelice come vomiti di coscienza, e dal cui grembo si partoriscono soltanto cimiteri di tumori, responsabilità farlocche, illusorie messinscene per addebitare colpe e sensi di colpa con minuziosa incoscienza e cieca complicità. Intanto, i rivoli di fumo esalano dal suolo come i sospiri di pena delle anime innocenti spazzate via da una misericordia così bieca da non meritare più alcuna preghiera.

C’è, naturalmente, molto altro: l’estate appena trascorsa verrà ricordata come l’estate degli sgomberi e della caccia all’uomo più becera e animalesca. Prima il laboratorio Làbas nella Bologna di Virginio Merola, quindi gli scontri di piazza Indipendenza nella Roma di Virginia Raggi: tutto lascia presupporre che la tendenza politica, ben lontana dal concetto di nomen omen, sia dunque ispirata dall’intento di rifarsi una verginità elettorale utilizzando attivisti e profughi come oggetti di autoerotismo politico.

Perché nulla fa più eccitare l’opinione pubblica, in questo momento, della guerra violenta al debole, al povero, all’abusivo, allo straniero. È l’effetto della minnitizzazione che si scarica da Nord a Sud lungo la spina dorsale del paese come un orgasmo pulsante di intolleranza e rigurgiti fascisti.

Il modello – Minniti è un ritorno reazionario a uno stato (con la minuscola, nda) di polizia, tanto autoritario quanto inefficace: agli italiani fornisce l’illusoria convinzione di “fare pulizia”, nella realtà si limita a spostare un po’ di polvere e lasciare irrisolte le questioni fondamentali della coesione sociale.

Lo sgombero del Làbas e il modello Minniti
Lo sgombero del Làbas e il modello Minniti

Capita così che attivisti di centri sociali che operano da anni nel costruire un modello alternativo di società solidale vengano portati via di peso, come criminali colpevoli di psicoreati da vaporizzare quanto prima, mentre militanti di Forza Nuova vengano scortati in chiesa dalle forze dell’ordine dopo aver minacciato un prete che aveva avuto – pensate! – l’ardire di definirsi antirazzista e antifascista.

Ma torniamo al ministro Minniti: è lui l’uomo del momento. Incensato dai media, omaggiato dagli avversari, celebrato dagli alleati, apprezzato in Europa al punto da essere preso ad esempio. La sua idea di società è stentoreamente chiara: che schifo i povery. Se sul fronte interno il suo concetto di decoro urbano prevede il mantenimento dell’ordine con olio di ricino e manganello, su quello estero il “merito” di Minniti è stato quello di arginare l’immigrazione, prima mettendo fuorilegge le ONG, e poi contrattando con la Libia il blocco delle partenze dei barconi, garantendo così, in piena coerenza, gli stessi diritti umani di cui si godeva nell’Europa dei lager nazisti.

Ci sarebbe ancora tanto da dire, tanto da raccontare. Proveremo a farlo nel corso di questo mese, con un occhio particolare alle tematiche dell’immigrazione, dell’integrazione e della multiculturalità, perché l’idea di società che abbiamo in testa è ben diversa dall’enorme regime comunitario che si va delineando, che consolida le sue fondamenta quanto più vanno smantellandosi welfare e diritti sociali, in piena organicità con la diffusione di una “cultura dell’ignoranza” che nutre la sua mente collettiva di minacce, insulti, razzismi, notizie false e desiderio di autoritarismo.

Ed è per questo che non c’è nessun punto di domanda nel mio titolo, lettori cari: il tempo passa, ma noi ci troviamo ancora, esattamente, dov’eravamo rimasti.

Buona domenica.

Emanuele Tanzilli
@EmaTanzilli

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