Dopo il governo del moderato Claudio, un colpo di stato da parte della sua seconda moglie Agrippina, fece salire al potere il figlio Lucio Domizio Enobarbo, passato nella storia con il nome di Nerone. Si tratta di un imperatore ambiguo, ricordato per le sue scelte discutibili ma anche per il suo amore per l’oriente e per aver portato a Roma la bellezza dei Neronia.
Nerone, troppo giovane per la mansione ottenuta, era circondato da importanti figure affinché riuscisse a guidare nel migliore dei modi l’impero. Accanto ad Agrippina e al prefetto del pretorio Afranio Burro, in veste di precettore aveva accanto il saggio Seneca, il filosofo stoico che sin dalla tenera età ha cercato di istruirlo nel migliore dei modi, iniziandolo all’arte, alla filosofia e alla disciplina e riponendo un lui tutte le sue più forti speranze. Per cercare di dar prestigio al suo nome Seneca cercò di ottenebrare quello di Claudio, scrivendo l’Apolokyntosis, una satira che immaginava Claudio (l’imperatore che cercò di imitare Augusto ma che alla fine ne risultò essere solo la sua brutta copia) come una testa di zucca, completamente diverso quindi dal nuovo imperatore, colui che non deluderà Roma.
Sin dall’inizio Nerone appariva però come un giovane indisciplinato, amante dell’arte, della scrittura e della vita mondana e per nulla propenso alla vita politica e militare. Eliminò o allontanò rapidamente tutti coloro che potevano essergli da intralcio e si dedicò allo studio e a tutte le sue passioni. La ricezione della sua figura è molto ambigua: se odiato durante il suo governo (lo accusarono anche di aver appiccato un incendio a Roma pur di far edificare la sua Domus Aurea), in molti continuarono a ricordarlo con nostalgico affetto dopo la sua morte.
Innamorato dell’atmosfera greca, l’imperatore si lasciò trasportare da tali usi e costumi e nello specifico, decise anche di modellare sulla base ellenica una nuova tradizione sportiva da portare a Roma, i Neronia, che videro la luce nel 60 d.C. Rispettando i lustra romani come periodizzazione, stabilì una cadenza quinquennale dei suoi nuovi giochi atletici, un certamen imponente, diviso in concorsi artistici, ginnici ed ippici. Le regole prevedevano che per tutta la durata dei giochi i concorrenti dovessero vestire abiti greci o gareggiare nudi come ad Olympia.
I Neronia erano visti con sospetto da tutti i romani che nutrivano uno spirito anti-ellenico, in quanto venne etichettato come un dispendio inutile di energie e atto alla distrazione dalla diligente attività militare (appartenente alla sfera delle imprese dell’utilitas). Nerone però come al solito non si curò dello scalpore provocato, né decise di sospendere i Neronia, anzi, nella seconda edizione del 65, si cimentò egli stesso (pur limitando le sue performance a quelle prettamente artistiche) con un’esibizione a Pompei.
Ma i suoi interventi non terminarono qui.
Nel 61 d.C. a Roma fece edificare uno splendido Ginnasio per dar la possibilità ai Neronia di ampliarsi e di crescere. Si spinse oltre, uscendo dalla sua zona di comfort fatta di poesie e performance artistiche e corse sulle bighe nel Circo di Caligola per un selezionato pubblico di amici.
Diede il via alla ristrutturazione del l’ippodromo, (sito dove ora sorge la Basilica di San Pietro) e lo fece poi ribattezzare come Circus Gai et Neronis.
Nel 64 d.C., anno che precedeva la duecentoundicesima Olimpiade, Nerone ritenne che fosse giunto il momento opportuno per il progettato viaggio in Grecia ma, giunto a Benevento, decise di non proseguire oltre per cause che rimangono tuttora sconosciute e fece ritorno a Roma per organizzare le sue Neronia. Si tratterà solo di un rinvio perché quando, nel 67, riuscì a realizzare il suo sogno, prese anche la decisione di restituire la libertà alle polis, eliminando il governo provinciale di Roma. In questo modo le tasse dei cittadini romani aumentarono vertiginosamente, acuendo ancor di più il malcontento dei romani, sempre più insofferenti nei suoi riguardi.
Quindi, mentre nell’Impero aumentavano i malcontenti, in Grecia Nerone fu accolto con gaudio e pur di permettergli la partecipazione, venne spostata eccezionalmente di due anni la cadenza della nuova Olimpiade.
L’imperatore soggiornò a Corfù, a Nikopolis (entrambe sede dei Giochi Aziaci istituiti da Augusto per celebrare la vittoria su Marco Antonio) e a Corinto, con un seguito di circa diecimila tra soldati e cortigiani. Qui iniziarono le esibizioni artistiche, improntate sul canto. Ad Olympia iniziarono poi le vere gare e Nerone ne vinse abbastanza (quella delle quadrighe, delle quadrighe dei puledri, il concorso degli araldi, il tiro a dieci puledri e le prove per citaredi e tragedi) da essere annoverato tra i più grandi. Venne anche, ad ogni vittoria, incoronato con la formula «Nerone Cesare vince questa gara e ottiene la corona a gloria del popolo di Roma e del mondo intero a lui soggetto».
Le testimonianze però, come screditano (o addirittura pongono in dubbio) l’abilità poetica di Nerone, così narrano di gare nate appositamente per agevolare l’imperatore, tanto che, proprio il nostro fondatore dei Neronia durante una delle corse di cavalli, caduto dal cocchio, sarebbe stato atteso da tutti gli avversari.
Alessia Sicuro