L’Atellana designa una farsa popolare ideata dalle popolazioni osche della Campania che si basava sull’utilizzo di maschere prestabilite. Queste forme embrionali di poesia teatrale sorsero intorno al V secolo a.C. e presero il nome dall’antica città di Atella, snodo strategico che collegava Capua a Napoli: qui si narra che Virgilio avrebbe letto ad Ottaviano le sue Georgiche. Oggi il territorio di Atella è compreso tra i comuni di S. Arpino, Orta di Atella e Succivo.
Le “Fabulae Atellanae” erano, quindi, antichissime forme autoctone di teatro popolare: si trattava di un insieme di scenette realistiche e rozze, ambientate in un contesto rurale e modesto e caratterizzate da allusioni, doppi sensi e battute spesso di cattivo gusto. La sfrontatezza è caratteristica dominante, tanto che si è arrivati a pensare che l’aggettivo “obscenus” derivasse da “oscus”.
La farsa, utilizzando un linguaggio popolare, mischiava sapientemente ironia e allusioni. Gli attori non avevano un vero e proprio copione: la rappresentazione era frutto di improvvisazioni spontanee basate sul contrasto tra tipi fissi. Gli intrecci davano vita a spettacoli popolari ricchi di situazioni divertenti, allusive e piccanti.
Seppur lo spettacolo nasceva dall’improvvisazione e ogni scena si creava da sé, è pur vero che vi erano dei tipi fissi imprescindibili, dei personaggi caratterizzati da ben delineate psicologie.
Era definita “commedia delle maschere”, proprio per l’utilizzo imprescindibile di tali strumenti. Realizzate con cortecce d’albero, le maschere erano molto scomode da indossare e provocavano disagi agli attori a causa della scarsa flessibilità che permettevano.
Originariamente utilizzata come elemento di culto, già con il teatro greco la maschera era diventata parte integrante della scena. Sarà, tuttavia, il teatro romano a farne un vero e proprio strumento professionale: le basi per tale contributo sono senz’altro poste dalla commedia atellana, che ha avuto un impatto fondamentale sulla moderna commedia dell’arte.
Le principali maschere utilizzate dall’Atellana erano Maccus, Buccus, Pappus, Dossennus e Kikirrus.
Le maschere dell’Atellana: Maccus, il mangione sciocco
L’etimologia del nome potrebbe essere di origine greca e letteralmente significare “fare il cretino” o ancora “uomo dalle grosse mascelle”.
Maccus è un personaggio ghiotto, balordo, che viene costantemente preso in giro. In scena è sempre vestito di bianco e indossa un copricapo (il tutulus), probabilmente per coprire la calvizie. La testa è rasa, le guance piene e il naso lungo. Molti studiosi identificano questo personaggio come il progenitore della più popolare maschera partenopea, Pulcinella.
Buccus, il chiacchierone petulante
Il nome sembrerebbe avere origine latina e derivare da “bucca”, termine che delinea un “uomo dalla bocca grossa”. La maschera è, quindi, caratterizzata da questa enorme bocca che si apre in un ghigno. Il significato non è solo letterale: Buccus ha la bocca grossa perché è chiacchierone, è un ciarlatano che parla a vanvera e che è continuamente in contrasto con i contadini.
Pappus, il vecchio stupido
Il termine potrebbe derivare dal greco “παππος”, ossia antenato. Così quest’altra maschera tipica identifica nient’altro che il vecchio rimbambito, avaro e lussurioso. Vestito in modo scomposto, è continuamente alla ricerca di denaro e donne, ma viene puntualmente raggirato.
Dossenus, il gobbo astuto
Il nome ha una radice etrusca “ennus”, ma si lega anche al latino “dossus-dorsum”, ossia gobba.
Si tratta probabilmente della maschera più sveglia: viene rappresentato come un ambizioso proprietario terriero, astuto e imbroglione. Raffigurato con una gobba, una bocca enorme e l’aria saccente di chi ostenta sapienza.
Kikirrus, il gallo
Oltre a queste maschere antropomorfe, ve n’è una teriomorfa (ossia con l’aspetto di un animale). Il nome stesso rimanda al verso del gallo. Alcuni studiosi considerano tale maschera, e non Maccus, l’antenata di Pulcinella.
L’Atellana, la farsa itinerante
Originariamente gli attori dell’Atellana si spostavano di città in città: le compagnie teatrali erano itineranti e viaggiavano su di un carro che molto spesso si trasformava in un palco improvvisato su cui esibirsi.
Nel IV-III secolo a.C. la farsa fu introdotta a Roma, probabilmente grazie ad artigiani campani immigrati. Inizialmente la fabula atellana si recitava in osco: col passare del tempo, iniziò ad essere recitata anche in lingua latina e i giovani romani attratti dall’uso della maschera presero ad utilizzarla nel corso di feste private e poi popolari. Stando ad alcune testimonianze, l’Atellana fu in seguito riesumata al termine della rappresentazione ufficiale della tragedia, come chiusura dello spettacolo, in brevi farse improvvisate, exodia. Se in un primo momento era interpretata da dilettanti, sarà poi affidata ad attori professionisti (gli histriones): arriverà così anche ad un pubblico “colto”.
A Roma, il successo della farsa Atellana fu grande e duraturo grazie alle allusioni scherzose, alla creatività mordace e all’ironia geniale. L’influenza di questa rappresentazione sul teatro romano testimonia ancora una volta l’importanza, la tipicità e la varietà del teatro campano.
Vanessa Vaia