aborto USA
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Sul tavolo dei nove giudici della Corte Suprema degli Stati Uniti è approdato un provvedimento pericoloso per il diritto all’aborto nel paese: una legge del Mississippi del 2018 che lo vieta dopo le prime 15 settimane di gravidanza. Il caso è chiamato Dobbs v. Jackson Women’s Health, dal nome delle due parti del processo: il capo del dipartimento di Salute del Mississippi, Thomas Dobbs, contro l’unica clinica dello Stato in cui si effettuano ancora servizi di interruzione di gravidanza.

Mercoledì 1 dicembre, dopo quasi due ore di dibattito in aula, i sei giudici di orientamento conservatore – la maggioranza su nove – sono sembrati molto ben disposti ad accogliere le richieste dello Stato. Chiamati a esaminarne la legittimità, se dovessero confermare la costituzionalità della legge metterebbero in discussione il diritto all’aborto nell’intero Paese. Un diritto sancito dalla storica sentenza Roe vs. Wade del 1973, con cui la Corte Suprema legalizzò l’aborto negli Stati Uniti. Un’ulteriore pronuncia del 1992 ha confermato la Roe, stabilendo alla 24esima settimana di gestazione il limite temporale dell’esercizio di questo diritto. Il problema è che le modalità di regolamentazione dell’aborto sono lasciate all’autonomia dei singoli Stati. La decisione della Corte Suprema è prevista per giugno 2022.

A rivolgersi al più alto organo giurisdizionale federale statunitense sono state le autorità del Mississippi, a maggioranza conservatrice. In una memoria trasmessa ai giudici il governo pone le sue argomentazioni: «nulla nel testo della Costituzione, la sua struttura, la sua storia o le tradizioni sostiene un diritto all’aborto». Altri 18 Stati americani (i più conservatori del Paese) sostengono le ragioni del Mississippi, oltre alla Chiesa Cattolica e a numerose associazioni anti-aborto.

La battaglia – politica e giudiziaria – è in corso da 50 anni. Molti dei sostenitori della causa anti-aborto sono fiduciosi e confidano nella pronuncia favorevole, puntando sulla presenza di tre giudici nominati dall’ex Presidente Donald Trump che durante la sua campagna elettorale del 2016 aveva promesso di scegliere giudici contrari all’aborto. E la loro influenza era apparsa già ben chiara lo scorso 1 settembre, giorno in cui la Corte – per motivi procedurali – si è rifiutata di bloccare l’entrata in vigore di una legge in Texas che vieta l’aborto dopo 6 settimane di gravidanza. La Corte Suprema dovrà pronunciarsi rispetto alla legge del Texas senza entrare però nel merito della sua costituzionalità, cosa che invece farà per la legge del Mississippi. Questo rende il “caso Mississippi” un caso cruciale sull’aborto negli Stati Uniti.

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Il pericolo di un ritorno a 50 anni fa si fa sempre più pressante. E per questo motivo associazioni di medici, femministe e difensori dei diritti civili hanno scritto alla Corte suprema. «Convalidare la legge del Mississippi equivarrebbe, senza dirlo, ad annullare Roe» ha avvertito Julie Rikelman, legale dell’unica clinica che nel Mississippi pratica l’aborto.     

Lo Stato chiede alla Corte di riconoscere la propria legge sull’interruzione di gravidanza, che è in contrasto con i precedenti giurisprudenziali in materia, e contemporaneamente chiede che venga ribaltata la normativa che nega l’accesso all’aborto. Richieste che hanno enormi ripercussioni su quegli Stati sprovvisti di una legge, e che quindi regolano il diritto grazie alla sentenza Roe.

Quale sarà l’esito di questo caso è difficile da prevedere. La Corte potrebbe accogliere tutte le richieste del Mississippi e ciò comporterebbe un ribaltamento o una revisione della storica sentenza del ’73. Più probabile però che la Corte accoglierà soltanto le richieste più puntuali, cioè quelle sull’interruzione di gravidanza entro le 15 settimane. Ma che prevalga la prima o la seconda ipotesi la sostanza cambierebbe ben poco: gli Stati a guida repubblicana potranno votare leggi sempre più restrittive, cancellando di fatto il diritto all’aborto. Milioni di donne saranno costrette a spostarsi negli Stati dove la pratica è legale, con costi economici e soprattutto psicologici pesanti. Una spaccatura tra “blu” e “rossi”, sempre più netta, che ricade sulle spalle delle donne e che rischiano di vedere cancellato un diritto fondamentale per la salute fisica e psichica. Lo scontro tra i due Stati Uniti, l’uno a difesa dell’aborto e l’altro pro-life, si è fatto sentire con le proteste proprio davanti alla Corte Suprema. E intanto si è espresso anche il presidente Biden, che ha dichiarato di sostenere il diritto alla scelta di abortire.

Valentina Cimino

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