Sapete, la politica è stupenda, perché finisce perlopiù col suddividere gli uomini in due categorie: quelli che pur di trovare una poltrona cambiano più partiti che mutande, e quelli che pur di restare attaccati alla poltrona cambiano più idee che mutande.
In entrambi i casi, ad avanzare sono le mutande: e quelle, infatti, sono l’unica cosa che resta al popolo.
Cari lettori, Matteo Salvini può tranquillamente inserirsi nella seconda categoria fra quelle appena citate. Cresciuto come “giovane comunista padano” (sic!), nel 1990 entra a far parte della Lega Nord portandone avanti a suon di insulti le istanze indipendentiste ed antimeridionali tanto care ai vari Bossi, Maroni e Calderoli, e finendo poi, divenuto segretario nel 2013, per spostare il suo astio verso l’Europa ed i migranti.
Noi tutti ricordiamo con dovizia di particolari qual è stato l’operato della Lega e dei suoi esponenti nel corso degli anni. Abbiamo ancora nitidi davanti agli occhi i cori oltraggiosi, gli epiteti “terùn” attribuiti con volgare disprezzo, i cartelli inneggianti all’indipendenza della Padania, gli auspici di eruzioni vulcaniche e così via.
Noi tutti lo ricordiamo; Salvini, a quanto pare, no. Al punto che qualche settimana fa ha annunciato, un po’ a sorpresa, una grande manifestazione nazionale da tenersi a Napoli, alla Mostra d’Oltremare, il prossimo 11 marzo. Decisione che non ha mancato di suscitare scalpore: mai prima d’ora, infatti, il buon Matteo si era spinto all’ingiù del Tevere, preferendo le comparsate televisive e qualche battibecco a mezzo social col sindaco De Magistris.
Ora, ragioniamo per assurdo: a Salvini interessa intercettare consenso per rafforzare la sua posizione in vista di una candidatura, e quindi è comprensibile, se non perfino legittimo, che vada in giro per l’Italia a dire fesserie sugli immigrati che ci rubano il lavoro e soggiornano in hotel mentre gli italiani muoiono di fame eccetera (il ritornello lo conoscete già).
Non è pensabile, invece, che un movimento razzista, xenofobo, populista, che ammicca all’estrema destra e ha ancora intenzione di presentare un referendum per l’autonomia di Lombardia e Veneto possa trovare terreno fertile nella città di Napoli, che è una delle capitali dell’accoglienza, della tolleranza e della diversità.
Allo stesso modo non è pensabile che un cittadino napoletano, conscio degli intenti di questo personaggio, possa riservargli una preferenza che, al di là delle posizioni politiche, denoterebbe una totale mancanza di orgoglio e amor proprio. Perché se sei napoletano e voti Salvini è un po’ come se tifi Juve: non è che sei cattivo o in malafede, è che sij strunz’.
Napoli perdona, ma non dimentica. Non dimentica gli insulti e le umiliazioni. Non dimentica di quando i suoi abitanti venivano definiti “colerosi terremotati”. Non dimentica le azioni predatorie perpetrate dai vari Governi Berlusconi col sostegno della Lega Nord ai danni del Mezzogiorno; le politiche di impoverimento, i tagli lineari, le prebende clientelari, i piani infrastrutturali mai concretizzati, le classi dirigenti fallimentari e colluse che l’hanno condotta sull’orlo del baratro.
Di tutto questo Salvini sembra non ricordare nulla, né sembra consapevole che il problema di Napoli si chiama camorra e non immigrazione. Una parola in merito? No. Un impegno al proposito? No. Soltanto slogan riciclati, attacchi alle “zecche rosse” che non gradiscono il suo arrivo e hanno dichiarato la città “desalvinizzata” e vaghe invettive contro il nemico dalla pelle scura che minaccia i confini nazionali e l’italico retaggio.
Molto bene, dunque. Salvini venga pure a trovarci; che mangi una margherita da Sorbillo, o una frittatina da Di Matteo. Passeggi sul lungomare, se lo vuole, e tenga pure il suo bel comizio. Ma non s’illuda un solo istante. Napoli sa come liberarsi, l’ha già fatto in passato senza l’aiuto di nessuno e, parafrasando Karl Popper, è pronta a rivendicare, nel nome della tolleranza, il diritto a non tollerare gli intolleranti. Non sarà un fomentatore di odio qualunque a fare proseliti sulla pelle e negli animi di chi ha reso la comprensione e l’accettazione un’identità culturale.
Ci bastano il colera e il terremoto, caro Salvini, grazie, stiamo bene così.
Emanuele Tanzilli
@EmaTanzilli
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