Malgrado siano trascorsi trentotto anni dal 1978, l’interruzione volontaria di gravidanza è ancora ostracizzata, considerata delle volte una realtà cui ricorrono donne spoglie di sensibilità e umanità – donne vestite di pietra. Gli obiettori di coscienza in Italia sono tanti e in taluni casi, oltre a non praticare l’IVG, usano astenersi anche “dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento”.

Difatti, tale assistenza è talvolta considerata dai medici obiettori di coscienza parte integrante del processo culminante nell’aborto. Questo tipo di convinzione può divenire fonte di problemi laddove il personale medico obiettore svolga la propria professione in un Consultorio Familiare e rifiuti, in tale sede, di attestare lo stato di gravidanza, di certificare la richiesta della donna di ricorrere all’aborto e di prescrivere contraccettivi.
Il 22 maggio 2014, la Regione Lazio ha reso noto un provvedimento attraverso cui ha ribadito come l’esercizio della obiezione di coscienza riguardi coloro coinvolti “esclusivamente nel trattamento dell’interruzione volontaria di gravidanza”. Ciò premesso, in riferimento all’attività svolta dal Consultorio Familiare, ha chiarito:

[…] si sottolinea che il personale operante nel Consultorio Familiare non è coinvolto direttamente nella effettuazione di tale pratica, bensì solo in attività di attestazione dello stato di gravidanza e certificazione attestante la richiesta inoltrata dalla donna di effettuare IVG. Per analogo motivo, il personale operante nel Consultorio è tenuto alla prescrizione di contraccettivi ormonali, sia routinaria che in fase post-coitale, nonché all’applicazione di sistemi contraccettivi meccanici.

In risposta al provvedimento, per quanto concerne l’attività dei Consultori, il Movimento per la Vita Italiano, l’Associazione Nazionale dei Medici Cattolici e l’Associazione Italiana Ginecologi Ostetrici Cattolici hanno presentato ricorso al TAR del Lazio, chiedendo l’annullamento di quanto disposto dalla Regione.
Il ricorso, rigettato in toto dal TAR, ha accusato il provvedimento di violare il diritto dei medici di essere obiettori di coscienza, poiché, obbligando di fatto a prestare assistenza anche alle richiedenti contraccettivi post-coitali o a coloro intenzionate a ricorrere all’IVG, costringe l’obiettore a venir meno ai propri valori e a prendere parte a processi culminanti nell’aborto, quando invece lo scopo ultimo dovrebbe essere il dissuadere la donna dal ricorrere a tale pratica. Questa situazione, a detta degli Enti fautori del ricorso, costringerebbe gli obiettori di coscienza a non lavorare nelle strutture oggetto di discussione, con conseguente discriminazione in termini carrieristici.

La sentenza del TAR è molto chiara: il provvedimento non viola né la legge 194/78, né gli articoli 2, 19 e 21 della Costituzione, né l’articolo 10 della Carta dei diritti fondamentali dell’UE – a riguardo, il TAR ha chiamato in causa la recente decisione del Comitato europeo per i diritti sociali e ha sottolineato che la Regione Lazio, con la propria iniziativa, ha garantito piena assistenza alle donne. Riguardo alla prescrizione dei contraccettivi, si chiarisce che questi agiscono prima dell’annidamento dell’ovulo nell’utero materno e pertanto non sono da considerarsi alla pari di un aborto – a sostegno dell’inesistenza di una equivalenza, il Tribunale cita la stessa legge 194/78, che specifica le modalità interruttive della gravidanza, tra le quali non figura nessun metodo estraneo ad un intervento praticato da un medico in una struttura adeguata.
L’obiezione di coscienza
, specifica la sentenza, è un diritto da esercitare in relazione all’atto specifico di interruzione volontaria di gravidanza. L’assistenza da prestare in momenti antecedenti – attestazione della gravidanza e certificazione della volontà di ricorrere all’IVG – e conseguenti – eventuali complicazioni legate all’aborto – non possono e non devono rientrare nell’obiezione, in particolar modo quando la struttura presa in esame è un Consultorio Familiare pubblico, il cui scopo è quello di garantire a tutti, senza discriminazione alcuna, piena assistenza.

Nicola Zingaretti, presidente della Regione Lazio, esprime la propria soddisfazione per l’esito di questa contesa, evidenziando che la sentenza si configura quale «certificazione che La Regione Lazio ha avuto ragione e sta andando nella direzione giusta, quella della ricostruzione della rete dei consultori, dopo anni di tagli e ambiguità. Un cammino impegnativo sul quale vogliamo proseguire per restituire dignità ai consultori e per tutelare la salute delle donne».

Diverso il parere espresso da Gian Luigi Gigli, presidente del Movimento per la Vita Italiano, il quale, contestando totalmente la sentenza, ha dichiarato che «Il Movimento per la Vita Italiano, perplesso rispetto alle valutazioni scientifiche dei giudici amministrativi e alla loro considerazione del diritto all’obiezione di coscienza, continuera’ la sua battaglia presso il Consiglio di Stato a difesa del diritto delle donne alla corretta informazione, della dignita’ della professione medica e, soprattutto, della vita dell’embrione umano, considerato dall’industria del farmaco un oggetto prima che esso possa annidarsi nell’utero materno», sottolineando in riferimento alla ‘pillola del giorno dopo’, considerata dal TAR farmaco non abortivo, che «Ancora una volta gli interessi delle multinazionali del farmaco hanno prevalso sul diritto alla corretta informazione».
In coerenza alla convinzione che il contraccettivo sopracitato sia in realtà un farmaco abortivo, Gigli, in qualità di deputato, ha presentato il 4 maggio 2016 assieme a Sberna una proposta di legge mirante ad estendere il diritto all’obiezione anche ai farmacisti, cosicché per gli obiettori di coscienza possa divenire possibile rifiutare di consegnare a chi ne faccia richiesta, malgrado l’esibizione della prescrizione medica, “qualsiasi dispositivo, medicinale o sostanza […] atto a produrre effetti anche potenzialmente abortivi”.

L’Associazione Luca Coscioni, appoggiando invece l’iniziativa della Regione Lazio, concorda con il parere di Zingaretti e considera la sentenza del TAR una vittoria, in quanto tutela la corretta applicazione della legge 194/78, e chiede «che tutti i presidenti di Regione seguano l’esempio del Presidente Zingaretti, affinché la legge sull’aborto sia applicata correttamente, a tutela della salute, dei diritti delle donne e dello Stato di diritto».

Rosa Ciglio

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