La sempre più crescente attenzione che il cinema sta dedicando alle questioni ambientali sembrerebbe un evento di natura recente: in realtà, il connubio ambiente/cinema attraversa in qualche modo tutta la storia della settima arte.

Secondo Bertrand Tavernier, critico e cineasta francese, il primo film ecologista della storia è addirittura girato nel 1899 dai fratelli Lumière, convenzionalmente riconosciuti come i “pionieri” del cinema. “Puits de pétrole à Bakou. Vue de prèsè il film in questione, che nei pochi secondi, girati a macchina fissa, non fa che fissare l’immagine di pozzi, immense fiamme ed emissioni di fumi neri: il disastro che si mostra.

Il messaggio che possiamo cogliere da ciò è uno solo: il cinema non è mai stata l’arte del semplice intrattenimento.

Puits de pétrole à Bakou. Vue de près

Il cinema ha come scopo quella di catturare la vita, creare un riflesso del mondo che permetta di interpretare la realtà e allo stesso tempo di smuovere le nostre coscienze. Ed il connubio tra cinema e ambiente non fa che nascere da questo pretesto di base; sfruttando la settima arte, lo scopo non è altro che quello di porre al centro dell’attenzione temi che difficilmente troverebbero collocazione nell’agenda degli individui e di farlo nel modo più immediato possibile.

Del resto un’immagine (o immagine in movimento in questo caso) può valere mille parole. Ed è proprio l’immediatezza la caratteristica che rende il cinema tanto importante nella sfida dell’ambiente, come strumento di conoscenza e di divulgazione delle questioni ambientali. L’obiettivo non è altro che risvegliare lo spettatore dal torpore, smuoverlo dall’indifferenza in cui potrebbe sprofondare.

La stessa indifferenza con cui è stato accolto in Italia il referendum abrogativo contro le trivellazioni in mare, annullato per il non raggiungimento del quorum. E il trade-off alla base del referendum in qualche modo non riguarda altro che la questione del “benessere” e il modo di intenderlo.

Questione ripresa da un film del 2012, Promised Land, con protagonista Matt Damon. La trama di fondo è molto semplice: due venditori di una compagnia del settore energetico, la Global, vengono mandati in una piccola cittadina agricola. Il compito dei due è quello di convincere gli abitanti a vendere il loro terreno, di modo che la compagnia possa effettuare delle trivellazioni per estrarre gas naturale, ovviamente dietro promessa di “soldi”, che possano risollevare i cittadini dalla crisi economica in cui versano. L’estrazione, tuttavia, causa spesso avvelenamento del terreno e delle falde acquifere.

Il dilemma di fondo è, quindi, uno solo: progresso o ambiente? Prosperità economica o sostenibilità ambientale?

Matt Damon in “Promised Land”

“Si possono definire «ambientalisti» quei film che hanno come soggetto centrale della narrazione l’ecologia, l’uso delle risorse naturali, l’inquinamento, il cambiamento climatico e tutti i problemi riguardanti i diversi aspetti del rapporto dell’uomo con il mondo che lo circonda.” (Cinema e Ambiente, ARPAV, 2011)

E allo stesso modo in cui il denso fumo nero emesso dai pozzi petroliferi dei fratelli Lumière diventa simbolo del disastro ambientale e smuove qualcosa nello spettatore, il cinema non ha mai smesso di porre al centro dei suoi temi l’ambiente.

È aumentato a dismisura il numero di messaggi ambientali nei film generici, con particolare riguardo ai film d’animazione: il recentissimo Oceania (2016), la saga dell’Era glaciale e il robot di Wall-E (2008) diventano l’occasione per riflettere su particolari temi.

Ancora, anche nel filone del cinema di fantascienza troviamo opere che pongono al centro di tutto l’ambiente, ed in particolare le conseguenze nefaste a cui lo sfruttamento intensivo di risorse può portare. The Day After Tomorrow- L’alba del giorno dopo (2004) è l’esempio più compiuto di questo: è un disaster movie, che non fa altro che trasferire sul grande schermo quelle che sono le angosce e le preoccupazioni collettive. Il mondo è in pericolo e qualsiasi atteggiamento di deresponsabilizzazione è nocivo e imprudente.

“The Day After Tomorrow- L’alba del giorno dopo”

Se abbiamo detto che il richiamo dell’ambiente si legge forte anche in film che apparentemente parlano di altro, il documentario non poteva che essere il genere che maggiormente pone al centro della sua agenda le questioni ambientali. Del resto, il fatto che debba esserci una ricostruzione quanto più possibile veritiera e oggettiva, dà al documentario la forza di un vero e proprio manifesto di denuncia.

Una scomoda verità (2006) di David Guggenheim non è altro che un film-documentario, che passa in rassegna dati e previsioni sui cambiamenti climatici, attraverso la voce di Al Gore. Questa dura denuncia del riscaldamento globale è stato un successo al botteghino, tanto da aprire la strada ad altri film documentari come The 11th Hour- L’undicesima ora (2007), prodotto e narrato da Leonardo DiCaprio. Da anni in prima linea per l’ambiente, DiCaprio rappresenta l’incarnazione della star hollywoodiana che si fa carico della divulgazione dei messaggi sulle problematiche ambientali.

Anche durante la cerimonia di premiazione degli Oscar 2016, DiCaprio, premiato come migliore attore protagonista per Revenant- Redivivo, ha sfruttato l’occasione per parlare dei pericoli dei cambiamenti climatici, dimostrando la sua sensibilità per il tema tanto delicato dell’ambiente.

“Il cambiamento climatico è reale. Sta accadendo in questo momento. È la minaccia più urgente per tutta la nostra specie, e abbiamo bisogno di lavorare collettivamente insieme e smettere di rimandare. Dobbiamo sostenere i leader di tutto il mondo che non parlano per i grandi inquinatori o per le grandi aziende, ma che parlano per tutta l’umanità, per le popolazioni indigene di tutto il mondo, per i miliardi e miliardi di persone svantaggiate, per i figli dei nostri figli, e per quelle persone là fuori la cui voce è stata soffocata da una politica di avidità. Vi ringrazio tutti per questo fantastico premio stasera. Cerchiamo di non dare questo pianeta per scontato”

Il problema del cambiamento climatico verrà poi affrontato da DiCaprio nel documentario Punto di non ritorno- Before the Flood (2016), in cui ne discute con le più importanti personalità del pianeta, tra cui Barack Obama, Bill Clinton e Papa Francesco.

In Italia, un’occasione importante per parlare del cinema che tratta il tema dell’ambiente è data dal festival CinemAmbiente, che si tiene annualmente durante il mese di giugno.

Il Festival CinemAmbiente nasce a Torino nel 1998 con l’obiettivo di presentare i migliori film ambientali a livello internazionale e contribuire, con attività che si sviluppano nel corso di tutto l’anno, alla promozione del cinema e della cultura ambientale. (www.cinemambiente.it).

L’ultimo film premiato al festival è il documentario “When two worlds collide”, diretto da Heidi Brandenburg e Mathew Orzel. Il documentario parla della minaccia estrattiva in Amazzonia, ma soprattutto della collisione tra due mondi diversi: progresso contro cultura.

“L’enorme opposizione da parte degli indigeni ci ha colpiti e coinvolti.” dice la regista “Nel profondo dell’Amazzonia, abbiamo visto il reale impatto di 45 anni di contaminazione dovuta alle estrazioni di petrolio. Non c’era alcun vantaggio per le persone e per le comunità. Piuttosto, questo cosiddetto “sviluppo” colpisce al cuore il loro modo di vivere, che dipende dal benessere della foresta pluviale e della sua gente. Abbiamo compreso l’entità della posta in gioco se la foresta fosse stata progressivamente sfruttata”.

Oggi, più che in passato, c’è bisogno di questo tipo di cinema: un cinema che sia specchio e riflesso del mondo, che catturi la realtà e che, oltre ad intrattenere e commuovere, faccia soprattutto riflettere. Perché il cinema è il linguaggio giusto per smuovere le nostre coscienze, oltre che le nostre emozioni, nella speranza che qualcosa possa realmente cambiare.

Vanessa Vaia

Vanessa Vaia
Vanessa Vaia nasce a Santa Maria Capua Vetere il 20/07/93. Dopo aver conseguito il diploma al Liceo Classico, si iscrive a "Scienze e Tecnologie della comunicazione" all'università la Sapienza di Roma. Si laurea con una tesi sulle nuove pratiche di narrazione e fruizione delle serie televisive "Game of Series".

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