Il 4 febbraio, a Washington DC, Stati Uniti, con un incontro tra il Presidente della Colombia Santos e il Presidente americano Obama è stato celebrato il quindicesimo anniversario del Plan Colombia: si tratta del faraonico piano di aiuti messo in piedi dal governo americano all’inizio degli anni 2000, col compito di guidare il governo di Bogotá nella lotta contro i due grandi mali colombiani, il narcotraffico e la guerriglia delle FARC.
Da sempre ritenuti dagli USA inesorabilmente connessi, la produzione e il traffico internazionale di stupefacenti (specialmente della cocaina), da un lato, e la lotta armata del gruppo separatista, dall’altro, sono stati storicamente considerati i freni allo sviluppo economico e sociale della Colombia e tra i fattori determinanti del crimine organizzato negli Stati Uniti (tra i primi consumatori di cocaina al mondo): l’amministrazione Clinton, ormai al crepuscolo, decise che per tradurre il Paese latinoamericano nella modernità sarebbe stato necessario fornire ai Colombiani gli strumenti finanziari e operativi per risolvere i loro drammatici problemi interni. Se poi, contemporaneamente, si fosse risolta pure la piaga del narcotraffico latino, che terrorizza costantemente l’opinione pubblica americana, schiudendo inoltre grosse opportunità per gli investimenti yankee in Colombia, tanto meglio.
Seguendo le tappe previste dal Plan Colombia, in 15 anni il Paese è diventato il più stretto partner latinoamericano degli Stati Uniti, che ne hanno fidelizzato i governi Pastrana prima, Uribe poi e infine Santos.
Bogotá è servita per controbilanciare l’influenza degli avversari di Washington nella regione: in particolare, la tensione col Venezuela di Chávez è talvolta salita tanto da sfiorare il conflitto armato.
Per consolidare questo nuovo status quo, però, servivano risultati concreti. Secondo i dati pubblicati dal governo degli Stati Uniti, il Plan Colombia ha conseguito numerosi successi. Quasi tutti i crimini violenti, dagli omicidi agli attentati terroristici, sono diminuiti copiosamente. Grazie ai corposi finanziamenti USA, che ad oggi ammontano a circa 1 miliardo di dollari, si è riusciti a trasformare la Colombia in una delle prime economie dell’America latina. Il progresso economico, la repressione armata contro narcos e FARC (spesso alleati) e la drastica riduzione della coltivazione di coca nelle campagne hanno fortificato l’esercito e le Istituzioni, apparentemente forzando i separatisti a deporre le armi e ad incamminarsi lungo un percorso di pace che sembra destinato a concludersi entro fine marzo. Ma è sempre stato davvero tutto oro quello che ha luccicato?
Nato come piano militare per l’addestramento e la fornitura di armi e altri apparati di guerra da parte del governo statunitense, il Plan Colombia all’inizio ha rivelato solo il suo pugno di ferro: i reparti speciali dell’esercito colombiano, addestrati da quelli USA, si sono resi protagonisti di offensive senza precedenti nei confronti di narcotrafficanti e separatisti, proprio come in una vera e propria guerra. I numeri delle tragedie di quegli anni sono ormai noti: 1,8 milioni di persone deportate dalle loro case, specialmente nell’entroterra rurale, centinaia di attacchi aerei con erbicidi per sterminare i campi di coca, almeno 3.000 civili misteriosamente uccisi, derubricati dall’esercito come “vittime collaterali del conflitto”. Nella progettazione e attuazione degli attacchi militari, in cui spesso ci andavano di mezzo i poveri contadini che si erano messi a coltivare coca per necessità, fecero parecchi affari anche società paramilitari private nordamericane, i cosiddetti contractors, il cui discutibile ruolo nei conflitti abbiamo imparato a conoscere meglio solo in Iraq e Afghanistan.
I raid aerei con i pesticidi – recentemente accusati di essere pure cancerogeni, ndr – hanno finito spesso per bruciare solo le coltivazioni legali, mentre quelle di coca hanno strenuamente resistito nella maggior parte dei casi; si sa, l’erba cattiva non muore mai. Si è cercato di convincere i produttori a convertire le proprie colture: la USAID, l’Agenzia del Governo degli Stati Uniti che porta la democrazia e lo sviluppo dove ce n’è bisogno (di cui Libero Pensiero ha già raccontato il ruolo ambiguo anche nella crisi politica haitiana di questi mesi) ha incentivato lo stabilimento di fattorie, ma con un grado di improvvisazione tale che queste, spesso sperdute nella giungla, hanno chiuso dopo solo pochi mesi. Sui muri dei capannoni abbandonati campeggiano ormai solo adulatorie targhe di ringraziamenti nei confronti dell’Agenzia e del Governo statunitense. Non sorprende così che negli ultimi anni la coltivazione di coca sia ripresa: semplicemente, molti contadini non hanno avuto alternative.
Molti sono cauti anche nel considerare le trattative di pace tra Governo e FARC come un innegabile successo del Plan Colombia: in realtà, un processo di pace era già stato intrapreso nel 2000, salvo poi essere spazzato via dalle operazioni dell’esercito. Il nuovo approccio, da due anni in qua, sarebbe dunque frutto piuttosto della nuova pax militare imposta da Bogotá con la benedizione di Washington. Proprio l’esercito ha aumentato notevolmente la propria influenza, grazie alla specializzazione dei suoi reparti di cui sembra non si possa più fare a meno anche se, con l’incalzare della pace, molti super soldati sono disoccupati e sono finiti a fare i mercenari in Yemen per conto degli Emirati Arabi.
Alla luce di questi dati controversi, oggi un cambio radicale della strategia del Plan Colombia appare necessario sia agli occhi del Presidente Santos che di Obama. Considerato anche l’ormai inesorabile progresso degli accordi di pace, i concetti dominanti in Colombia sono diventati quelli di riconciliazione e concordia: Santos, nei giorni precedenti l’incontro con Obama di giovedì scorso, ha annunciato che avrebbe inoltrato agli USA la richiesta di rimuovere le FARC dalla lista nera delle organizzazioni terroristiche, una volta che i separatisti avranno firmato l’accordo di pace. Inoltre ha reso noto di voler ottenere la sospensione di 50 ordini di cattura, emessi dalla Giustizia statunitense, nei confronti di altrettanti capi delle FARC accusati di narcotraffico, a condizione che l’organizzazione rispetti i patti con lo Stato colombiano; in caso contrario, nulla ostacolerebbe l’estradizione di questi soggetti.
Obama, invece, ormai a fine mandato, con l’intenzione di consolidare il ricordo della sua amministrazione in politica estera come “presidenza di pace”, alla vigilia delle celebrazioni dei tre lustri del Plan Colombia non poteva che concordare con l’indirizzo politico del suo omologo latino: anche agli USA conviene che, dopo anni di sanguinose battaglie interne, la Colombia fortifichi il processo di pace, rimedi alle violazioni dei diritti umani perpetrate nei confronti dei civili, fomenti lo sviluppo delle zone più svantaggiate coinvolgendo più da vicino le minoranze indigene e la popolazione afro colombiana. In questo senso, parecchi osservatori ritengono che un buon punto di partenza potrebbe essere la pubblicazione dei documenti del Dipartimento di Stato, che ancora occulta 15 anni di operazioni top secret in Colombia.
Obama e Santos giovedì hanno infine annunciato le proporzioni del nuovo Plan Colombia: 450 milioni di dollari pioveranno nelle casse di Bogotá nei prossimi mesi, per il finanziamento di nuovi programmi bilaterali in cui un ruolo determinante sarà ancora di USAID. Si attende, poi, la conclusione dei negoziati con le FARC, ormai in dirittura d’arrivo a Cuba, sede delle trattative: incoraggianti sono gli apprezzamenti ufficiali, da parte dei leader della (ex) guerriglia, del ruolo dei mediatori internazionali e del governo cubano in particolare.
A questo punto, il Paese è però ansioso di capire se la pace con le FARC porterà davvero in dote la clemenza giudiziaria nei confronti dei separatisti: alcuni temono che la voglia del governo di procedere ad una frettolosa riconciliazione, in nome dello sviluppo e del rispetto dei patti con gli USA, possa celare un’ondata di impunità, che è l’ultima cosa che meritano le migliaia di vittime del terrorismo di questi anni.
La Colombia oggi cresce, ha un’economia sempre più solida, dimostra di poter fare a meno del petrolio che rimane comunque il primo prodotto di esportazione, è destinataria di importanti investimenti, non solo statunitensi. Qualcuno si chiede quanti siano i meriti attribuibili al Plan Colombia e quanti ai Colombiani: si lasci che a rispondere, al posto di analisi e statistiche ufficiali, sia il tragico fallimento di simili modelli di “sviluppo” in Paesi come il Messico.
Ludovico Maremonti