Il 29 novembre Amnesty International ha lanciato la 15° edizione di Write for Rights, una campagna a livello internazionale in cui chiede di scrivere lettere a vari governi in favore di persone i cui diritti sono stati violati o minacciati.

Nel 2016 la campagna Write for Rights ha ottenuto 4,6 milioni di firme di cui oltre un milione era indirizzato all’allora presidente Barack Obama per chiedere l’amnistia di Edward Snowden.

Quest’anno, per la prima volta, Amnesty — e le milioni di persone che aderiranno a Write for Rights — si impegnerà per un suo attivista, Taner Kılıç, presidente di Amnesty International Turchia. Kılıç è accusato di appartenere a un’organizzazione terroristica con l’unica colpa di aver scaricato l’applicazione ByLock, utilizzata da alcune organizzazione terroristiche. Contro questa tesi dei magistrati turchi ci sono però due inchieste condotte privatamente da Amnesty che hanno accertato che questa applicazione non è mai stata presente sul telefono di Taner.

L’attivista di Amnesty rischia fino a quindici anni di carcere, insieme a molti altri attivisti turchi che dopo il colpo di stato dell’estate 2016 sono detenuti con l’accusa di terrorismo.

In Turchia, come in molti altri Stati (in particolare mediorientali e sudamericani), dopo il colpo di Stato, e in maniera ancora più accentuata dopo il referendum vinto dal presidente Erdoğan, sono molti gli oppositori del governo di Ankara che vedono in bilico i loro diritti e la loro incolumità. Tra questi, oltre a Taner Kılıç, vi sono Idil Eser, direttrice di Amnesty International Turchia, e altri attivisti soprannominati i “10 di Istanbul” che a differenza di Taner sono stati rilasciati su cauzione dalle autorità turche.

Nonostante ciò l’Europa sembra ignorare il comportamento di Erdoğan, mettendo di fatto in secondo piano i diritti umani – lo ha addirittura “premiato” con tre miliardi di euro per aver chiuso le frontiere, impedendo ai migliaia di migranti presenti sul territorio turco di attraversare il Mar Egeo e di approdare in Europa. I risultati ci sono stati: basti pensare che nel gennaio del 2017 hanno raggiunto la Grecia solo 1.500 profughi, mentre nel gennaio del 2016 sono stati ben 70.000 i profughi sulle coste elleniche.

Ma non soltanto la Turchia è nota per i numerosi oltraggi ai diritti umani.

Un caso molto rilevante è quello di Ahmadreza Djalali, ricercatore iraniano di medicina dei disastri e assistenza umanitaria all’Università del Piemonte Orientale di Novara, che è stato condannato a morte da un tribunale iraniano con l’accusa di spionaggio (l’evento sarebbe avvenuto nel 2000 per conto del governo di Israele).

Djalali ha ricevuto anche la proposta da parte delle autorità iraniane di confessare di essere una spia, ma ha rifiutato e il 24 febbraio ha iniziato uno sciopero della fame, terminato il 6 aprile per evitare di aumentare i problemi di salute già gravi. In una lettera scritta ad agosto nella prigione di Evin, Djalali afferma che fu proprio il governo di Teheran a chiedergli di fare la spia in alcuni stati dell’Unione Europea, ma lui declinò l’offerta.

desaparecidos egiziani nella lente di Write for Rights.

Se si credeva che i casi dei desaparecidos dei Paesi sudamericani tra gli anni ’70 e ’80 fossero ormai solo un triste ricordo, si è stati purtroppo delusi. Questa volta, però, i desaparecidos non provengono dalle regioni del Sud America bensì da una realtà molto più vicina alla nostra penisola: l’Egitto.

In Egitto, infatti, secondo Amnesty, ogni giorno vengono prelevate tre o quattro persone — attivisti, manifestanti e studenti (anche minorenni) — le cui tracce si perdono per sempre. È questo il caso del marito di Hanan Badr el-Din: arrestato nel luglio del 2013 durante una manifestazione, è apparso in televisione ferito in un letto d’ospedale.

Questa appena citata è stata l’ultima volta che Hanan ha visto suo marito, tuttavia non si è mai arresa e ha continuato a cercarlo, aiutando anche altre famiglie a ritrovare i propri familiari scomparsi. A causa di questa sua iniziativa è stata arrestata dalla polizia egiziana con l’accusa di appartenere a un gruppo fuorilegge e ad oggi rischia una condanna a cinque anni di carcere.

Se l’Egitto può arrestare delle persone con prove false solo perché oppositori del regime di al-Sisi, è con molte probabilità anche colpa dell’Italia e degli altri Paesi occidentali che, per meri interessi economici, sono rimasti immobili davanti alle numerose irregolarità di cui è accusato il nuovo dittatore egiziano.

È per Taner, Ahmadreza, Hanan e tutti coloro che si trovano in simili condizioni che Amnesty ha lanciato la campagna Write for Rights, affinché vengano riaffermati i diritti di tutti, ovunque.

Andrea Lorusso

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