Home Rubriche Lettere in Soffitta Giuseppe Ungaretti: il dolore di un’anima mai stanca di amare

Giuseppe Ungaretti: il dolore di un’anima mai stanca di amare

E subito riprende
il viaggio
come
dopo il naufragio
un superstite
lupo di mare.

Naufrago e vagabondo, sovversivo e pacato come la sua arte, Giuseppe Ungaretti nasce nel 1888 ad Alessandria d’Egitto, da genitori toscani. A due anni dalla sua nascita, suo padre fu ucciso dall’idropisia, malattia che aveva contratto durante gli anni di estenuante lavoro per lo scavo del canale di Suez. Toccò a sua madre, Maria Lunardini, farsi carico della famiglia: donna taciturna e religiosa, gestì da sola un piccolo forno di proprietà per permettere al figlio di studiare, continuandogli a parlare dell’amore per l’Italia e la Toscana. La sua immagine ci è evocata da una delle poesie più ispirate di Ungaretti: “la Madre”. Dolce e umile, forte e fiera, ella diventa simbolo di ogni amore materno, instancabile ed immortale. E con la sua fede, con le sue braccia tese, accoglierà sulla soglia dell’aldilà suo figlio, quello stesso bambino cui porgeva la mano.

E il cuore quando d’un ultimo battito
avrà fatto cadere il muro d’ombra
per condurmi, Madre, sino al Signore,
come una volta mi darai la mano.

In ginocchio, decisa,
Sarai una statua davanti all’eterno,
come già ti vedeva
quando eri ancora in vita.

Alzerai tremante le vecchie braccia,
come quando spirasti
dicendo: Mio Dio, eccomi.

E solo quando m’avrà perdonato,
ti verrà desiderio di guardarmi.

Ricorderai d’avermi atteso tanto,
e avrai negli occhi un rapido sospiro.

Due grandi traumi sconvolsero la vita di Giuseppe Ungaretti: la Grande Guerra e la morte di suo figlio Antonietto, alla tenera età di 9 anni. Risultati immagini per ungarettiAllo scoppio della prima guerra mondiale, nel 1914, il poeta partecipò attivamente alla campagna interventista e, all’ingresso dell’Italia nel conflitto, il 24 maggio 1915, si arruolò come volontario. L’esperienza della guerra,  l’umanità come “uno sciame che si copula nel sangue” (Babele, 1919), è ciò che lo spinge alla riflessione sulla caducità della vita e sulla leggerezza della morte:

        Si sta come
         d’autunno
         sugli alberi
        le foglie

E così, buttato nella trincea, accanto al suo compagno massacrato, con la bocca digrignata e le mani congelate, Ungaretti scrive…Scrive le sue poesie, scrive d’amore, scrive della sua disperata voglia di vivere.

Un’intera nottata
Buttato vicino
A un compagno
Massacrato
Con la bocca
Digrignata
Volta al plenilunio
Con la congestione
Delle sue mani
Penetrata
Nel mio silenzio
Ho scritto
Lettere piene d’amore

Non sono mai stato
Tanto
Attaccato alla vita.

Le 15 liriche giovanili che compongono l’Allegria costituiscono un piccolo patrimonio fortemente autobiografico che Ungaretti dedica al tema della guerra. Nella sua raccolta, egli spiega:

ero in presenza della morte, in presenza della natura, di una natura che imparavo a conoscere in modo terribile. Dal momento che arrivo ad essere un uomo che fa la guerra, non è l’idea di uccidere o di essere ucciso che mi tormenta: ero un uomo che non voleva altro per sé se non i rapporti con l’assoluto, l’assoluto che era rappresentato dalla morte. Nella mia poesia non c’è traccia d’odio per il nemico, né per nessuno; c’è la presa di coscienza della condizione umana, della fraternità degli uomini nella sofferenza, dell’estrema precarietà della loro condizione. C’è volontà d’espressione, necessità d’espressione, nel Porto sepolto, quell’esaltazione quasi selvaggia dello slancio vitale, dell’appetito di vivere, che è moltiplicato dalla prossimità e dalla quotidiana frequentazione della morte. Viviamo nella contraddizione. Posso essere un rivoltoso, ma non amo la guerra. Sono anzi un uomo della pace. Non l’amavo neanche allora, ma pareva che la guerra s’imponesse per eliminare la guerra. Erano bubbole, ma gli uomini a volte si illudono e si mettono dietro alle bubbole”.

Immerso nella natura carsica, arida e triste, nelle pagine della sua opera dal titolo che risuona ossimorico rispetto al contenuto, scorgiamo la storia di un uomo che non ha mai smesso di portare in sé tutto il dolore a cui ha assistito, senza tuttavia mai nutrire odio, ma al contrario coltivando amore per la straziante nostalgia che ne provava. E nel cuore impresso di cicatrici, un pianto duro, congelato e immobile, che non fuoriesce, che resta lì, in quel porto sepolto del poeta che è segreto a tutti, anche a se stesso.

Come questa pietra
Del S. Michele
Così fredda
Così dura
Così prosciugata
Così refrattaria
Così totalmente
Disanimata

Come questa pietra
È il mio pianto
Che non si vede

La morte
Si sconta
Vivendo.

La Grande Guerra è la causa che scatena in lui un’irrequietezza senza tregua: anche di ritorno dal campo di battaglia, Ungaretti si scopre incapace di abitare ogni luogo, di sentirsi a casa. La sua pace è perduta per sempre. Ciononostante, egli non si arrende: vagabonda per il mondo, con il suo spirito girovago ed avventuriero, in cerca della sua “terra promessa”, dove scorgere tracce di quell’innocenza che ricorda e che sembra essere scomparsa, sia in sé sia nel mondo.

In nessuna
Parte
Di terra
Mi posso
Accasare

A ogni
Nuovo
Clima
Che incontro
Mi trovo
Languente
Che
Una volta
Già gli ero stato
Assuefatto

E me ne stacco sempre
Straniero

Nascendo
Tornato da epoche troppo
Vissute

Godere un solo
Minuto di vita
Iniziale
Cerco un paese
Innocente

Ne L’Allegria, Ungaretti obbedisce ad una poetica nuova e ribelle, che disfa tutte le regole tradizionali. Come è possibile notare negli esempi sopracitati, scompare la punteggiatura e la parola assume la massima carica espressiva, in virtù della forza con cui si manifesta l’esigenza comunicativa. Nella raccolta successiva, Sentimento del tempo, Ungaretti torna a rifarsi alle regole classiche per influenza della rivista “La Ronda”: la poesia riappare sublimata, aulica, stilizzata e astratta.

Nel 1936, nella speranza di trovare la sua “terra promessa”, accettò di trasferirsi a San Paolo, in Brasile, come docente di Letteratura italiana. E proprio in Brasile, si verificò l’altro grande evento traumatico della sua vita: nel 1939, muore suo figlio Antonietto, per un’appendicite malcurata. Le diciassette liriche, sotto il titolo di “Giorno per giorno”, conservano la sua memoria. La prima si apre con un gemito del bimbo: “nessuno, mamma, ha mai sofferto tanto…”, e il suo volto scarno, già consumato dalla morte, su cui brillavano ancora gli occhi, pieni di giovane vita. Il dolore per la morte del piccolo, tormenterà tutta la sua vecchiaia: “sconto, sopravvivendoti, l’orrore degli anni che t’usurpo”“Gridasti: soffoco…” è la straziante lirica che ripercorre l’ultima notte di vita del figlio e il rifiuto di un padre di rassegnarsi ad un innaturale ma inevitabile addio:

Poi nella cassa ti verranno a chiudere
Per sempre. No per sempre
Sei animo della mia anima, e la liberi.

E nel ricordo dei suoi grandi lutti, frammentanti nella sua ultima raccolta, Il dolore, Ungaretti si spegne a Milano, all’età di 82 anni.

Mai, non saprete mai come m’illumina
L’ombra che mi si pone a lato, timida,
Quando non spero più…

 

Sonia Zeno

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