Questo sembra un concetto banale, ma è dando per scontate le banalità che siamo giunti al cospetto delle mostruosità: perché il sonno della ragione genera coalizioni di centrodestra a vocazione sovranista, illiberale e autoritaria. Va premesso però che in Italia, quando si parla di “sinistra”, ci si riferisce genericamente a schieramenti così eterogenei da non poter fare distinguo: per l’italiano medio il comunista è sia l’elettore di Rizzo (al singolare, nel senso che ne è proprio uno) sia il borghesotto dei quartieri con il dolcevita e l’abbonamento alla newsletter di Matteo Renzi.
Del resto, se la sinistra extraparlamentare è ridotta a poco più che una testimonianza simbolica, autoreferenziale e irrilevante, è conseguenza logica che il riferimento – ahimé, anche e soprattutto mediatico – diventi la coalizione del PD, un accrocchio di shellyiana memoria che, oltre a ispirare ribrezzo come il mostro di Frankenstein, con la sinistra vera e propria ha davvero poco in comune.
Allora come giustificare questo ossimoro politico? Con la retorica del “fermare la destra”, il refrain di ogni campagna elettorale degli ultimi trent’anni. Bisogna impedire che al governo finiscano Giorgia Meloni e Matteo Salvini, quindi va bene tutto pur di riuscirci, anche formare schieramenti che tengano insieme primedonne capricciose come Calenda, Di Maio e chissà, in seguito addirittura Renzi. Che prospettiva possa fornire una coalizione nata sotto tali auspici è difficile da stabilire. Che visione del paese abbia il Partito Democratico, ancora più arduo. Per adesso sappiamo che Enrico Letta è il federatore di un’alleanza “per fermare la destra”: in pratica si sa soltanto cosa non è. Di conseguenza, gli elettori sanno soltanto chi non votare.
A rendere tutto ancora più grottesco c’è l’adesione di Sinistra Italiana ed Europa Verde. Una poltrona, una poltrona, il mio regno per una poltrona! Se Riccardo III ambiva a un cavallo, Fratoianni e Bonelli hanno preferito la comoda stasi del seggio in Parlamento. Una scelta che sarà sicuramente legittimata per “spostare a sinistra l’asse della coalizione”, per non farsi mancare alcun cliché. Un tentativo fallito in partenza, se posso permettermi. È già abbastanza degradante leggere i tweet di Calenda, figuriamoci votarlo. E inseguire le destre sul loro stesso terreno è un gioco pericoloso, è un invito alla trappola. Parlare di revisione del reddito di cittadinanza, rigassificatori, sottomissione totale alla NATO, Agenda Draghi (ma la Smemoranda non vi piace?) non è polarizzare il dibattito, è appiattirlo. Alla destra basterà stare zitta fino al 25 settembre per arrivare in carrozza a Palazzo Chigi col tappeto rosso (ché di rosso ci è rimasto solo quello) srotolato e un mojito del Papeete di benvenuto.
Quindi no, non ci occorre una sinistra per fermare la destra. Anche basta. Serve una sinistra che urli a gran voce che il salario minimo si introduce subito; che il reddito di cittadinanza si migliora, ma non si discute; che la crisi climatica si affronta immediatamente con misure straordinarie di efficientamento, messa in sicurezza e riduzione delle emissioni; che la transizione ecologica non la decide ENI, ma le assemblee cittadine; che l’evasione fiscale si punisce, non si condona; che alle mafie gli affari si sottraggono, non si propongono, a partire dalla cannabis; che la Chiesa non ha diritto di parola su aborto e fine vita. Una sinistra che sappia attingere alle migliori esperienze europee e coniugarle con le risorse e le specificità italiane; che abbandoni la nostalgia e abbracci la dimensione digitale del futuro; che mostri fiducia nella scienza e nel progresso tecnologico; che non sbandieri con una mano il vessillo del pacifismo e con l’altra firmi contratti per la vendita di armi.
Mi rendo conto che al momento non esiste, nell’intero panorama, nulla che vi si avvicini se non surrogati e palliativi. Ma il voto utile è un ricatto morale non più ammissibile. C’è un ceto politico che ha costruito le sue fortune – e le sciagure della sinistra – sul meno peggio, sul tapparsi il naso, sul fascismo da scongiurare. Ci fossero almeno riusciti…
Emanuele Tanzilli