In occasione dell’ 8 marzo, Lettere in Soffitta dedica il suo appuntamento settimanale alle figure che hanno appassionato i lettori di intere generazioni: le donne della grande letteratura italiana che hanno ispirato le più nobili e famose opere, donne che hanno rappresentato passioni capaci di smuovere, in profondità, le viscere dell’anima e nuovi ideali a cui devolvere il proprio lavoro.
Da Dante a Petrarca, da Ariosto a Leopardi, da D’Annunzio a Saba, fino a Montale: “amiche, mogli, amanti. Muse ispiratrici angeliche, erotiche, crudeli. Tra bellezza ed estremismi, onestà e tradimenti, gioventù e vecchiaia.”
Le donne figurano sempre come il motore che guida l’animo dell’uomo, e poco importa se sia inferno o paradiso il luogo in cui conducono.
Beatrice è nota alla realtà storica del suo tempo come “Bice” Portinari e, a tutto il mondo, come il grande amore di Dante: un amore che è solo uno sguardo, un saluto, un sogno lungo una vita. Beatrice si tinge di una spiritualità sempre più intensa e la sua immagine di purezza, di verginità si circonda di un’aurea di sacralità. É lei la protagonista della Vita Nova, prosimetro in cui Dante ne racconta la vita e si consola per la sua prematura morte avvenuta nel 1290 (aveva circa 24 anni): questo evento congela Beatrice nella sua immagine di giovane donna, incontaminata dal peccato, eterea. La Vita Nova si conclude con una “mirabile visione”, di cui Dante farà parola nel Paradiso: Beatrice supera i topoi dello Stilnovismo e diventa sublimazione estrema, guida spirituale di Dante. Scioglie ogni dubbio alle soglie della divina visione, bellezza ormai ineffabile, il poeta la saluta così:
“ Tu m’hai di servo tratto a libertate
Per tutte quelle vie, per tutt’i modi
Che di ciò fare avei la potestate.
La tua magnificenza in me custodi,
sì che l’anima mia, che fatt’hai sana,
piacente a te dal corpo si disnodi”.
Così orai; e quella, sì lontana
Come parea, sorrise e riguardommi,
poi si tornò all’etterna fontana.
( Par.XXXI, vv.85-93)
E se Laura è più umana e concreta, protagonista della tormentata vicenda amorosa che colpisce l’animo di Petrarca, l’atmosfera di Chiare, fresche et dolci acque appare immersa in quell’incantata perfezione che, inevitabilmente, rimanda all’apparizione di Beatrice nel Paradiso:
Da’ be’ rami scendea
(dolce ne la memoria)
una pioggia di fior sovra ‘l suo grembo;
et ella si sedea umile in tanta gloria,
coverta già de l’amoroso nembo.
Qual fior cadea sul lembo,
qual su le trecce bionde,
ch’oro forbito et perle
eran quel dì, a vederle;
qual si posava in terra, e qual su l’onde;
qual, con un vago errore
girando, parea dir: Qui regna Amore
Quante volte diss’io
allor pien di spavento:
Costei per fermo nacque in paradiso.
L’immagine femminile subisce un’ulteriore metamorfosi con l’Orlando Furioso di Ariosto:
Angelica, oggetto del desiderio dei paladini, fugge con Medono. La follia di Orlando è un climax di indizi e verità svelate che ne accrescono il dolore e la rabbia covati, fino alla pazzia.
Non son, non sono io quel che paio in viso:
quel che era Orlando è morto et è sotterra;
la sua donna ingratissima l’ha ucciso:
sì mancando di fé gli ha fatto guerra.
Io son lo spirito suo da lui diviso,
ch’in questo inferno tormentandosi erra,
acciò con l’ombra sia, che sola avanza,
esempio a chi in Amor pone speranza.
(XXIII, 128)
Abbandonate le vesti di donna-angelo, la figura femminile assume concretezza e sensualità finora sconosciute, capaci di travagliare l’animo del poeta, come nel Ciclo di Aspasia, in cui Leopardi racconta le sofferenze d’amore causategli dalla passione non corrisposta per la nobildonna toscana Fanny Targioni Tozzetti, a cui il poeta attribuisce lo pseudonimo dell’amante di Pericle:
“Non sai
che smisurato amore, che affanni intensi,
che indicibili moti e che deliri movesti in me.”
Procedendo verso la contemporaneità, l’amore si colora di tinte forti: tradimenti e storie che, nonostante tutto, intrecciano grandi personalità per la vita.
Amori travagliati e donne che hanno dedicato vita e carriera a uomini immeritevoli: è il caso dell’attrice Eleonora Duse e di Gabriele D’Annunzio. Lui sfuggente, capriccioso, amante delle donne e della trasgressione. Lei perdutamente innamorata, sebbene tradita. “Gli perdono di avermi sfruttata, rovinata, umiliata. Gli perdono tutto, perché ho amato”, scrive di D’Annunzio. Morirà di tubercolosi nel 1924, sola. Devastato dai rimorsi, D’Annunzio ammetterà: “è morta la sola che non meritai”.
Veniamo poi ad Umberto Saba e a sua moglie, Carolina Wolfler, protagonista di “A mia moglie”, poesia scritta nel 1911 e che, a detta dello stesso Saba, è la più bella tra tutte: l’immagine di Lina si rispecchia nel mondo animale, nell’incedere regale di una “bianca pollastra” migliore del gallo, nelle movenze leggiadre e nel desiderio di carezze di una “gravida giovenca”, nelle gelosa fedeltà di una “lunga cagna”, nell’attesa di una “pavida coniglia” in gabbia, nella delicatezza di una rondine, nella laboriosa formica, e in “in tutte le femmine di tutti i sereni animali che avvicinano a Dio; e in nessun’altra donna” .
Degno di nota è, infine, l’amore tra Drusilla Tanzi ed Eugenio Montale, che le dedicò le sezioni Xenia I e Xenia II della raccolta Satura (1970). Chiamata con lo pseudonimo di Mosca, per lo spessore dei suoi occhiali, Drusilla è protagonista della lirica “Ho sceso dandoti il braccio…”, in cui assurge al ruolo di guida e compagna di vita del poeta nel breve ma lungo viaggio dell’esistenza.
“Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio
non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.
Con te le ho scese perché sapevo che di noi due
le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,
erano le tue.”
Sonia Zeno