Un’intervista esclusiva al Professore Luciano Canfora, filologo classico, saggista e storico. Globalizzazione, Trump, Europa, i temi trattati.
Professore Luciano Canfora, intanto grazie di aver accettato l’intervista da parte nostra. In molti leggono la vittoria di Trump come la fine di un’epoca e la fine del mondo globalizzato, per le tendenze isolazioniste del nuovo Presidente americano. Lei crede sia così?
Innanzitutto dobbiamo comprendere cosa significa globalizzazione per stabilire se è finita: è un fenomeno inarrestabile che è cominciato secoli fa, per cui dire che si può mettere punto è dire poco. La prima descrizione di globalizzazione potremmo trovarla in un testo greco del V secolo a.C. dove l’autore dice che ‘ad Atene arriva la merce da tutto il mondo’, ovviamente un mondo molto più piccolo del nostro. Viene segnalata, questa, come peculiarità dell’economia commerciale ateniese. Questo, per dire, che insomma la percezione di questa capacità di convergere da lontano e raggiungere punti lontani sul piano del commercio e quindi della produzione di merci è abbastanza antica. Quando uno legge nel Manifesto di Marx la descrizione del capitalismo come “il mago che non riesce più a dominare le potenze degli inferi da lui evocate” diciamo che abbiamo la descrizione di quello che oggi noi chiamiamo globalizzazione, inerente all’idea capitalistica di profitto, il fatto di non porre limiti all’ambito dove cercare il profitto, provocare profitto.
Un fenomeno inarrestabile, quindi?
Il profitto per il capitalismo è Dio e va venerato, si va in Thailandia, in Bangladesh, si cerca il profitto, il denaro è l’unica divinità del mondo libero, del capitalismo. Poi c’è un altro aspetto che è quello della diffusione simultanea culturale delle mode, dei modi di pensare, dei pensieri, anche a livello elevato, filosofici, poetici. Anche questo è un fenomeno inarrestabile. Sarebbe comico dire fermiamolo, tanto non si può fermare. Direi che uno dei veicoli per far circolare queste idee è quell’oggetto ambiguo che è la televisione, l’unica grande produzione politica della televisione è la pubblicità, un mondo di cartapesta, un oggetto che annulla le distanze.
E allora Donald Trump?
Beh, Trump fa una politica assolutamente, come dire, ipernazionalista, il suo obiettivo è distruggere l’UE, alzare le barriere doganali e cercando di far saltare quello che resta del rudere che chiamiamo Unione Europea. Ciò non significa bloccare la globalizzazione, lui i suoi interessi continuerà a farli sul piano globale.
Una politica ipernazionalista può far sì che la longa manus degli USA possa bloccarsi?
A questo ci avevano pensato già altri Presidenti, la politica estera di Barack Obama è stata largamente fallimentare, ha fatto poco e quel poco fatto è stato abbastanza inconcludente. Le sanzioni alla Russia sono state un’idiozia assoluta. Non è che Trump metta un punto fermo al dominio americano, quest’ultimo era già in declino. Ci sono aree di conflitto come nel Pacifico e Medio Oriente, ma gli USA sono più interessati al Pacifico, diciamo che lì si può anche sfociare in una guerra. Lo scacchiere Giappone – Corea – Cina convolge gli USA in quanto potenza di fatto coloniale sul Giappone e Corea del Sud, si può degenerare in una guerra affinché gli statunitensi mantengano le loro posizioni imperiali da quelle parti. La Cina non è più la Cina servile della guerra dell’oppio, non accetterà di essere messa nell’angolo.
Rudere chiamato UE, intanto questa ventata di nazionalismo si sta diffondendo in Europa e non sembra arrestabile.
Non è che si è ridestata, la interpretazione puramente finanziaria che è stata data dell’Unione, la pretesa di regolare l’esistenza dei singoli stati nazionali che ne fanno parte, ha riattizzato fortemente i conflitti sociali. I conflitti sociali, dalla Grecia alla Spagna, all’Italia, alla Francia stessa si risolvono inevitabilmente sul piano nazionale, è ovvio. Non esiste un conflitto di classe transnazionale, l’interlocutore di chi viene sfruttato è in casa, a parte il potere bancario irraggiungibile. Hanno messo in ginocchio alcuni Paesi applicando in modo ottuso e idiota i parametri di Maastricht: massacrare la Grecia, mettere noi in difficoltà, è servito a creare un tale scontento che può trovare forma attraverso un risveglio all’interno dei singoli paesi che noi chiamiamo populismo, tanto per dargli un nome snob, ma insomma è evidentemente un segno di disagio che avendo poi la sinistra residuale abbandonato i propri presupposti, trasformatasi in salotto, va a finire a destra. La destra immediatamente adotta le parole d’ordine che fanno un buon effetto e una buona impressione per chi sta male, anche Hitler faceva questo, no? Attraeva i disoccupati dicendo che era tutta colpa degli affamatori ebrei, ovviamente non era vero, intanto i disoccupati gli credevano.
Professore, Lei parla di destra e sinistra, in tanti vogliono rottamare queste due categorie tanto che oggi si parla di alto e basso, cosa ne pensa?
Diciamo che l’idea che la destra e la sinistra non esistono più era un’idea del Duce, anche la Chiesa si poneva come superamento di destra e sinistra. Questa via d’uscita torna ogni volta che la sinistra non fa più il suo mestiere.
E cosa dovrebbe fare la sinistra?
Eh, deve fare la sinistra.
Intervista a cura di Luca Mullanu
Vice Direttore – Libero Pensiero News