Nella rovente estate del 2017, Cesare Beccaria non lo legge più nessuno e, tra il clamore dell’affaire Neymar, il rinvio della legge sullo Ius soli e l’interminabile querelle italiana sui vitalizi, la Bielorussia ha condannato due uomini alla pena di morte, la Somalia ha giustiziato quattro prigionieri, il governo egiziano ha dato la pena capitale a 28 persone. Potremmo andare avanti, ma è meglio fermarsi qui, a riflettere.

Nel 1764 Cesare Beccaria, illustre nonno dell’altrettanto illustre Alessandro Manzoni, scriveva Dei delitti e delle pene, un volumetto tanto breve quanto interessante, progressista, sull’onda della filosofia illuminista del XVIII secolo. La tematica portante dell’intero tomo era il fallimento del sistema penale e carcerario, che avrebbe dovuto avere funzione correttiva per riabilitare gli uomini e reinserirli all’interno della società. Per questo e altri motivi era necessario abolire la pena di morte, che rappresentava il culmine di quell’interpretazione fallace di cui Beccaria si faceva primo detrattore.

A più di 200 anni dalla stesura di Dei delitti e delle pene, è piuttosto evidente che la critica e il lavoro di Cesare Beccaria non siano arrivati ai nostri contemporanei, e che il suo proposito sia fallito, o quantomeno vano. A parlarci in modo approfondito della situazione legata alla pena di morte nel mondo è Amnesty International, con infografiche e dati che testimoniano la presenza di un bicchiere mezzo pieno, ma soprattutto di un altro, che è mezzo vuoto.

105 Paesi nel mondo hanno abolito da tempo la pena di morte, tra i quali è ovviamente presente l’Italia. E questo dato può rappresentare il nostro bicchiere mezzo pieno: due terzi dei Paesi mondiali sono “civili”, tutelano il diritto alla vita di ogni individuo. Il bicchiere mezzo vuoto è tuttavia allarmante: 57 Stati nazionali mantengono in vigore nel loro ordinamento giuridico la pena di morte, e nel corso del 2016 la maggior parte di essi l’hanno messa in pratica almeno una volta. Tra questi ultimi spiccano gli Stati Uniti, la Cina, il Giappone, l’Egitto e l’India.

Tra questi due estremi, il bicchiere mezzo pieno e quello mezzo vuoto, c’è spazio per un po’ di “acqua indecisa”: sette Paesi hanno abolito la pena di morte, ma la mantengono in vigore per reati straordinari e crimini di guerra, ma soprattutto sono 29 quelli che la prevedono nel loro ordinamento, ma non la mettono in atto da più di dieci anni. Questi ultimi due dati lasciano un po’ di speranza affinché il bicchiere mezzo pieno diventi sempre più pieno e quello vuoto svanisca definitivamente. Tuttavia la questione legata alla pena di morte è tutto fuorché archiviata.

Nel 2016, escludendo le cifre della Cina (la prima nazione al mondo per condannati a morte) che sono protette da segreto di Stato, sono state 1032 le esecuzioni di pena di morte. In media, quasi tre persone al giorno in un anno vengono punite per i loro crimini con l’estrema sentenza, con la morte per mano dello Stato. Nell’Unione Europea, l’unica nazione che prevede ancora la pena di morte è la Bielorussia, come citato in apertura, ma ciò che lascia davvero attoniti è il modo in cui viene messa in atto la sentenza: con un colpo alla nuca, un po’ come mucche al macello.

Dati, infografiche e soprattutto esecuzioni portano in auge la necessità di un dibattito serio sulla pena di morte, il bisogno concreto di interrogarsi sulla sua coesistenza con la pretesa di una società civile, che tuteli ogni cittadino allo stesso modo. La vicenda del bicchiere mezzo pieno e di quello mezzo vuoto si ripropone anche in un momento di riflessione. Nel maggio del 2017, una ricerca dell’Osservatorio Generazione Proteo sui giovani italiani tra i 17 e i 19 anni ha rivelato che il 35,8% di essi rifiutava con netto distacco l’applicazione della pena di morte, ma allo stesso tempo il 31,7% degli intervistati la riteneva necessaria, specie per alcuni particolari reati: terrorismo e pedofilia.

Il momento di riflessione è dunque spontaneo, naturale, non solo leggendo le statistiche di Amnesty International, rimanendo increduli di fronte ai dati e ai metodi d’esecuzione di pena di morte, ma soprattutto divenendo consapevoli del fatto che quasi un giovane italiano su tre la ritenga necessaria. È davvero così? Per alcuni reati, siano essi efferati, vili o crudeli, è apparentemente avvertita la necessità d’applicazione di questa extrema ratio. Eppure è allo stesso tempo inevitabile domandarsi quale dovrebbe essere la risposta di una nazione civile ideale. Lo stupratore o il pedofilo, figure che spesso sono associate a deviazioni mentali e identificate come pericoli per la società, non dovrebbero andare incontro alla morte, ma a lunghi processi di assistenza medica e psicologia, di cura, affinché possano essere reinseriti in quella stessa società che minacciavano.

Nel 1764 Cesare Beccaria affidava tante di queste domande al suo tomo, nel 2017 ancora dibattiamo sugli stessi argomenti.

Andrea Massera

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