«Cosa si può fare per far sì che le persone si rendano conto dei cambiamenti climatici?». È la domanda rivolta da The Guardian durante l’intervista al divulgatore scientifico e naturalista britannico David Attenborough. Domanda trita e ritrita, a cui gli scienziati del clima di tutto il mondo rispondono col solito e mai sbagliato monologo sull’inefficienza dell’informazione pubblica. Non Attenborough, non per il narratore di molti dei documentari naturalistici più belli di sempre. La risposta di Sir David alla domanda di cui sopra è tanto inquietante quanto realistica: «Disastri, è terribile da dire ma è così. Ma a volte nemmeno quelli riescono a rendere coscienti le persone circa i cambiamenti climatici». Disastri ambientali che colpiscono anche l’Italia, eventi meteorologici estremi che, secondo il dossier SOS Acqua 2018 redatto da Legambiente, nel Belpaese hanno causato 24 mila morti in 11 anni. Ondate di calore, bombe d’acqua, grandinate, la crisi ambientale non risparmia gli italiani che, nella primavera del 2019, hanno visto aumentare i violenti eventi meteo del 62% rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente. Ed ecco che la domanda iniziale, rivolta a quel popolo che mai deve sentirsi esente da colpe e responsabilità, cambia indirizzo. Il nuovo Governo giallorosso è ormai nato e per questo motivo la domanda da porre diventa: «Cosa si può fare per far sì che la politica italiana si renda conto dei cambiamenti climatici?».
Punto 5: ipocrisia ambientale
«Occorre realizzare un Green New Deal, che comporti un radicale cambio di paradigma culturale e porti a inserire la protezione dell’ambiente tra i principi fondamentali del nostro sistema costituzionale». L’articolo 5 delle linee di indirizzo programmatico per la formazione del nuovo Governo giallorosso rappresenta un’ottima premessa contro la crisi ambientale che fa ben sperare il mondo ambientalista italiano. Premessa che potrebbe facilmente trasformarsi in promessa, di quelle che non verranno mantenute. A denunciarlo il gruppo politico Europa Verde che, in un articolo pubblicato il 3 settembre, pone due domande fondamentali, utili a far emergere le molteplici contraddizioni dei due partiti, soprattutto dei pentastellati, in ambito ambientale: «Come si può pensare di sostenere un Green New Deal se la legge che programma gli interventi economici non prevede alcun finanziamento sull’ambiente? Come si può parlare di piani di investimento incentrati sulla protezione dell’ambiente, quando non si fa alcun riferimento al taglio delle fonti fossili, che ancora oggi in Italia ammontano a oltre 19 miliardi di euro?».
Contraddizioni, dicevamo, di quelle enormi, frutto di un recente passato difficile da dimenticare. La forza politica fondata da Grillo e Casaleggio scelse come simbolo cinque stelle, ovvero cinque tematiche fondamentali su cui fondare il progetto politico del Movimento: acqua, ambiente, trasporti, connettività e sviluppo. Eppure molti sono stati i passi indietro del partito (con buona pace di coloro che insistono sulla parola “movimento”) guidato da Luigi Di Maio. Quelli più clamorosi riguardano il Gasdotto Trans-Adriatico, meglio conosciuto come Tap e l’ex Ilva, la più grande acciaieria d’Europa. Passi indietro clamorosi, retromarce sulla pelle del popolo pugliese, rese ancor più eclatanti dalle dichiarazioni pre-elettorali delle bandiere del Movimento. Una su tutte datata 2017: promessa solenne di Alessandro Di Battista che a San Foca, a pochi passi dal cantiere della Tap, dichiarò «Con noi al governo, quest’opera la blocchiamo in due settimane». Com’è andata a finire lo sappiamo tutti. Capitolo Ilva, Taranto, città in cui il M5S ha raccolto oltre il 47% dei voti, altra promessa mai mantenuta. L’acciaieria più inquinante d’Europa doveva essere chiusa ma, ancora una volta, con un dietrofront strategico anch’esso contornato da accuse al governo precedente, nel giro di pochi mesi i pentastellati e la Lega, sprezzanti della crisi ambientale, diedero il via libera all’accordo di vendita ad Arcelor-Mittal, colosso industriale operante nel settore dell’acciaio.
E poi c’è il PD, il partito pro-TAV, il progetto dalle mille contraddizioni. Tralasciando i problemi legati alla salute umana e quindi l’aumento considerevole di particolato, polveri sottili e CO2 dovuto ai lavori, il progetto per la linea ad alta velocità Torino-Lione rappresenta una contraddizione nella contraddizione. Se è vero che la nuova linea ferroviaria permetterebbe il trasporto di merci su treno invece che su tir, risparmiando così una notevole quantità di CO2 emessa nell’atmosfera, è vero anche che la costruzione della stessa TAV porterebbe a emettere una quantità di anidride carbonica tale da dover aspettare decenni prima di godere di benefici ambientali. Lo conferma il climatologo Luca Mercalli: «Quando passerà il primo treno sulla linea Torino-Lione, non avrò ancora un risultato ambientale visibile perché, per un altro numero di anni, bisognerà ammortizzare le emissioni che ci sono state prima. Il primo treno che passerà non toglierà niente di Co2, semplicemente inizierà a ripagare il debito dell’emissione che c’è stata nel cantiere. Il risultato è che comunque prima di una ventina d’anni non avremo una diminuzione di un solo grammo di CO2». Quel che i pro TAV, e quindi il PD, non hanno ben chiaro sull’aspetto ambientale di tale opera è che la crisi ambientale è già in atto. Quel che il partito di Zingaretti sembra non capire è che la crisi climatica rappresenta un problema le cui disastrose conseguenze sono già sotto gli occhi di tutti e che quindi le emissioni di gas serra devono essere abbattute da ieri. Questa confusione del Partito Democratico sulla tutela ambientale è senz’altro confermata dal recente passato. Non dimenticheremo mai la campagna di boicottaggio inerente il referendum del 2016, quello sulle trivelle, portata avanti dal PD di Renzi che invitava il popolo italiano ad astenersi. Non dimenticheremo neppure i decreti salva Ilva né il D.l. 133/2014, conosciuto come “Sblocca Italia”, con cui si indebolirono le tutele e le valutazioni ambientali. Non lo dimenticheremo.
Per la crisi ambientale ci vogliono fatti, non opinioni
È con queste premesse che il Governo giallorosso si appresta ad amministrare il Belpaese, a tutelare l’ambiente, a combattere la crisi ambientale. È notizia di questi giorni l’approvazione del decreto «Misure urgenti per la tutela del lavoro e la risoluzione di crisi aziendali» in cui l’articolo 14 contiene l’ennesima norma salva Ilva con tutele legali per ArcelorMittal. L’ultimo regalo del Governo gialloverde a cui il sindaco di Taranto Rinaldo Melucci risponde: «Aspettiamo rispettosi una risposta del premier incaricato su quali siano le scelte strategiche per la nostra città e per l’ex Ilva, al momento non tangibili in alcuno dei 26 punti dell’accordo di maggioranza. Insomma, aspettiamo che prima o poi si avveri il sogno di un decreto salva Taranto e salva tarantini». Toccherà ora al neo ministro dello Sviluppo Economico, il grillino Stefano Patuanelli, cercare di risolvere l’annoso problema legato all’impianto più inquinante d’Europa.
Toccherà a noi cittadini vigilare sull’operato del Governo giallorosso, concentrandoci sul lavoro del confermato ministro dell’Ambiente Sergio Costa, sulla condotta della neo ministra all’Agricoltura Teresa Bellanova, sulle azioni degli anch’essi neo ministri Paola De Micheli (Infrastrutture e Trasporti) e del già citato Patuanelli. Certo le premesse non sono delle migliori, ma è dovere di tutti i cittadini, sostenitori e oppositori del Conte bis, sperare e fare di tutto affinché questo sia davvero il governo del cambiamento, il governo che lotterà con tutte le proprie forze la crisi ambientale.
Marco Pisano
E ‘criminale iniziare un “nuovo governo” senza mettere al punto NUMERO UNO: Salvare la Terra, salvare le Foreste, salvare I Mari, salvare l’Aqua , salvare l’Aria , salvare il Suolo
Per quanto mi riguarda, trovo che abbia perfettamente ragione, signora Mercatelli.