Fermata dell’autobus di una linea qualsiasi, Parigi, primi giorni di dicembre. Un cartellone pubblicitario che reca il marchio Volkswagen recita: «Ci spiace che siamo stati beccati. Ora che siamo stati beccati, stiamo cercando di farvi credere che ci teniamo all’ambiente. Ma non siamo mica i soli».

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Opera dell’artista britannico Eye Saw per le strade di Parigi: Green wash “per tenere puliti sporchi profitti”.

Ecco. La logica del quesito è semplice: chi crea un problema, di norma, è difficile che possa essere parte della soluzione, soprattutto se non ha interesse a farlo. Se presti una bella somma di denaro ad un tuo amico e quello non te la restituisce entro i termini, magari perché intanto è in vacanza ai Caraibi, la prossima volta di norma non gli darai un quattrino. L’idraulico che finisce per allagare la cucina tutte le volte che il rubinetto perde, di norma, è difficile che venga chiamato per fare manutenzione all’acquedotto dello Stato. Di norma.

La Conferenza sul Clima in corso in questi giorni a Parigi, come abbiamo più volte sottolineato, è un appuntamento fondamentale, in cui i potenti del mondo dovrebbero trovare un accordo per ridurre le emissioni di Co2 per contenere l’aumento della temperatura almeno entro i 2°C. Mentre le organizzazioni ambientaliste invitano alla cautela e aspettano di leggere l’accordo finale, l’ottimismo tra i partecipanti alle trattative non manca.
Poi, però, cerchi il sito che ospita la Conferenza e scopri che si trova a pochi passi da un aeroporto (aeroporto di Parigi-Le Bourget) e che sia Air-France sia la compagnia che gestisce gli aeroporti è tra i partner dei negoziati. Ma gli aerei non erano tra le principali fonti di emissioni di Co2 al mondo?
E, scorrendo la lista degli sponsor, troviamo nell’ordine il gruppo Bmw, Renault Nissan, gli pneumatici Michelin, Philips, EDF (azienda che gestisce il nucleare francese), BNP Paribas (che ha miliardi di investimenti nelle fonti fossili), Gdf Suez (proprietaria di svariate centrali a carbone), oltre che altre aziende elettriche e molte altre banche.
Ah, The CocaCola Company, naturalmente.

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“Contrastare il cambiamento climatico? Certo che no, siamo una compagnia aerea” – “Airfrance: parte del problema”. Opera di Revolt Design.

Si chiama greenwashingletteralmente “lavarsi la faccia col verde”, ed è semplicemente una strategia comunicativa che multinazionali e governi usano per atteggiarsi a leader dell’ambientalismo mentre incassano i miliardi delle fonti fossili e inquinano il Pianeta. Per la stessa ragione, da qualche tempo, i siti web delle compagnie petrolifere più dannose per l’ambiente (da Gazprom a Eni) fanno bella mostra della sezione Environment, in cui illustrano con elaborati grafici e studi chiaramente di parte quanto tengono alla protezione dell’ambiente.
Il premier Matteo Renzi, che a Parigi afferma “siamo il paese leader nel contrasto al cambiamento climatico” e si dimentica che è stato lui a far fiorire le trivellazioni nei nostri mari (art.38 dello Sblocca Italia), se volete è riconducibile allo stesso fenomeno.
Greenwashing, avere la faccia come il culo, parafrasando.

La denuncia del collettivo Brandalism.

Così ritorniamo ai nostri cartelloni. L’arte di strada è da da sempre sensibile alle tematiche sociali e ovunque, affianco alla street artist pura, stanno fiorendo artisti singoli o veri e propri collettivi: Banksy è forse l’esempio più noto, ma proprio sui temi ambientali agisce a Londra Liberate Tate, che da anni denunciano la sponsorizzazione dei musei Tate da parte della British Petroleum, a cui nel 2014 simbolicamente regalarono addirittura una pala eolica!

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“Stato di urgenza”, opera dell’artista francese Eubé KC che riflette sulle priorità della politica di Hollande.

Il collettivo Brandalism, salito alla ribalta delle cronache nei giorni scorsi, si definisce di guerrilla marketing anti-pubblicità: dal 30 dicembre, giorno di apertura della CoP21, hanno disseminato sulle pensiline dei mezzi pubblici di Parigi oltre 600 manifesti di opere volte a denunciare il greenwashing all’interno della Conferenza sul Clima.
I protagonisti ci sono tutti: Hollande che dichiara l’ Etat d’ urgence per il terrorismo e non vede l’ urgence del clima, Shinzo Abe che ha in testa le centrali nucleari, David Cameron vestito da pilota di Formula Uno. L’arte denuncia in modo intelligente i legami tra inquinamento e negoziati climatici, tra controllati e controllori non sempre imparziali, finendo per rendere fin troppo evidente che coloro che si presentano come soluzione sono spesso parte del problema.

Un’azione ancora più rilevante perché preparata e portata a termine in condizioni straordinarie, in una Parigi militarizzata e in condizioni di illegalità, laddove le opere degli oltre 80 artisti sono state posizionate negli spazi pubblicitari di proprietà della JC Decaux che, manco a dirlo, è anch’essa sponsor della Cop21.

Un gioco di specchi, di interessi e sponsorizzazioni che, purtroppo, non ha nulla a che vedere con la lotta ai cambiamenti climatici, quando non cerca esplicitamente di influenzare il processo decisionale e gli stessi negoziati di Parigi. Controllati e controllori, ancora una volta, incontrollati e incontrollabili. Quis custodiet ipsos custodes?
Chi controlla i controllori? 


Antonio Acernese

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