Ieri è stato il mio compleanno, e per l’occasione ho ricevuto auguri da 115 persone sulla bacheca facebook e da 51 attraverso messaggi. Ho ringraziato (quasi) tutti allo stesso modo: con un pollice all’insù oppure con l’indice ed il medio aperti nel segno di “pace”.
Chi sono queste persone? Le conosco davvero tutte? Ovviamente no. Qualche anno fa, al proposito, divenne celebre uno studio sociologico che dimostrava le espansioni massime della nostra rete sociale in termini di cognitività della relazione e adeguatezza dei livelli interpersonali. In parole povere, lo studio sostiene che ognuno di noi è in grado al massimo di intrattenere rapporti sociali con una cerchia “ristretta” di 50 persone e con una rete “estesa” di 250. Oltre questi numeri, il rapporto diventa di pura circostanza. Un po’ come quando si attaccano le figurine all’album, per senso di completezza.
Eppure, le nuove reti virtuali ci consentono di allargare a dismisura le nostre conoscenze, in teoria senza limiti: pian piano potrei arrivare a conoscere Papa Francesco (senza aspettare che mi telefoni) o Donald Trump (senza aspettare che mi bombardi).
I social network come facebook, twitter e i programmi di istant messaging come whatsapp fanno ovviamente da catalizzatori per il flusso di contatti e semplificano quelle operazioni di interrelazione che un tempo erano svolte dal telefono o dalla posta. Di conseguenza, con un messaggio azzeccato, anche il più beota degli analfabeti può assurgere alla celebrità (il più delle volte proprio grazie alla sua ignoranza) e diventare idolo delle masse.
Il giorno del compleanno che ho preso ad esempio ad inizio articolo ne è la dimostrazione perfetta. Decine e decine di persone che non conosco per nulla, grazie ad una notifica, ricordano la mia esistenza e mi omaggiano con una frase di auguri. Il quarto d’ora di celebrità profetizzato da Andy Warhol diventa il quarto di secondo – il tempo necessario a digitare “auguriii” e, per i più audaci, anche ad aggiungerci una faccina sorridente – con cui, una volta l’anno, entriamo nelle vite e nella cognizione mentale di centinaia di sconosciuti.
Non è questa la celebrità in senso intrinseco a cui l’artista pop si riferiva, ma perbacco se non ci si avvicina. Dedicare del tempo a qualcuno, anche solo un giorno l’anno, anche solo per pochi secondi, è un gesto di profondo rispetto seppure svolto in maniera superficiale, quasi istintiva o meccanica. Che poi è esattamente quello che le reti social ci hanno costretto a diventare, consumatori di rapporti usa-e-getta.
Si tratta, cari lettori, della bubble reputation già descritta da Shakespeare nell’opera “Come vi piace”:
Then a soldier,
Full of strange oaths, and bearded like the pard,
Jealous in honor, sudden and quick in quarrel,
Seeking the bubble reputation
Even in the cannon’s mouth.
Il soldato a cui fa riferimento l’autore è l’uomo adulto, che va in cerca della fama ad ogni costo e pur di riuscire nel suo intento diventa spesso vittima della vanagloria, vittima di se stesso, compiacendosi di andare a precipitare “nella bocca del cannone” pur di diventare famoso.
La bubble reputation, difficile da rendere in italiano, è un concetto che delinea questa insulsa esigenza come una labile bolla di sapone, della durata di appena pochi istanti prima di esplodere e svanire nel nulla: capirete dunque adesso il mio riferimento agli auguri di compleanno.
Ne siamo tutti soggiogati? Se provo a chiedermi quante di quelle persone continueranno a cercarmi ed a sincerarsi delle mie condizioni nel corso dell’anno, non posso che rispondermi di sì. Probabilmente, anche voi giungerete alla stessa conclusione. Non c’è nulla di male, finché la si prende per quello che è, ovvero una manifestazione indiretta delle nuove strutture sociali, basate purtroppo sull’alienazione inconsapevole e sulla freddezza automatica. Il problema risiede qui, non negli auguri. Nella volontà spasmodica di ridurre a questo l’umanità, o peggio, nella minimizzazione dell’individuo a mero fenomeno mediatico.
Per cui, se posso lasciarvi un consiglio, lettori cari: per gli auguri un “mi piace” è sufficiente, ma ringraziate invece con sincerità chi si preoccupa di voi durante il resto dell’anno.
Emanuele Tanzilli